"Tutto cambia al di là di queste mura.
Qui invece tutto resta uguale, cristallizzato. Siamo un baco che mai si trasformerà in farfalla"

mercoledì 2 dicembre 2015

L&H Winter Tour 2015

Dopo un novembre tranquillo, Lejla e Hamid si rimettono in viaggio per incontrare i lettori. Sarà un dicembre ricco di appuntamenti! Camogli, Genova, Stoccarda...

mercoledì 28 ottobre 2015

Mr Coltan

Entro nei bagni dell'aeroporto e mi guardo allo specchio, come faccio ogni volta che torno a Londra. Non c'è traccia di Africa sul mio volto. Meglio così, non c'è niente di quello che vedo e che sento durante i miei viaggi che vorrei mi restasse addosso. Vero, c'è la coscienza, ma quella è da tempo che non si sporca più, da quando sono riuscito a convincere me stesso che in fondo sto svolgendo solo il mio lavoro, quello che mi viene chiesto di fare e per cui sono pagato. E vaffanculo i bimbi soldato, gli stupri e gli 8 milioni di morti degli ultimi 20 anni nel Kivu. Con certe cose io non c'entro nulla. A me interessa solo il prezzo del coltan.
Prendo il cellulare, lo rigiro tra le mani. È anche grazie all'azienda per cui lavoro che adesso la batteria di questi aggeggi dura così tanto. Il tantalio fa miracoli. E noi i soldi. La prossima settimana ci sarà una festa. Siamo entrati a far parte delle cinquanta economie più importanti al mondo, abbiamo superato il PIL del Cile e l'anno prossimo, se il mercato regge, ci metteremo alle spalle anche la Finlandia.
Non so se chiamare Beth e dirle che sono arrivato. No, le farò una sorpresa. Le porterò dei fiori, a lei piacciono tanto. Anche se non ho mai capito il suo entusiasmo, li mette in un vaso e poi li fa marcire, non cambia l'acqua nemmeno una volta. Sono stanco, ho bisogno di riposare. Non vedo l'ora di arrivare a casa e abbandonarmi sul divano, sorseggiando il tè. Mette a scaldare l'acqua appena entro in casa. Povera, è sempre così premurosa. Se sapesse che ogni volta che arrivo in albergo a Kigali mi fanno trovare un paio di ragazze in stanza. Così ti ambienti e ti rilassi, mi disse la prima volta Mbeku, il mio contatto in Rwanda. Penso ci rimarrebbe male, ma poi se ne farebbe una ragione. In fondo anche lei sa che tra noi c'è grande affetto, ma la passione è sopita  ormai da tempo. Con quelle ragazze ci faccio sesso, che con Beth ormai lo si fa una volta al mese se va bene, ma tutto finisce lì, in quella stanza d'albergo. Mezz'oretta di divertimento, che male c'è.
 
Due giorni dopo
 
Ieri sera ne ho parlato con Paul al pub e lui mi ha chiesto come avrei reagito se Beth si fosse divertita un po' durante le mie assenze. Solo un po' di sesso, nulla di più. Mi sono scolato mezza pinta prima di rispondere. Guarda, gli ho detto, non riesco proprio a immaginare Beth che fa sesso con qualcun altro, ancor meno per divertimento, ma se ciò dovesse succedere mi incazzerei come una bestia. Ecco, ogni tanto parlare con gli amici fa bene, ti aiuta a riflettere. Stamattina ho scritto a Mbeku: niente ragazze il prossimo viaggio. Un po' mi dispiace, sarà tutto più noioso, ma in fondo Paul ha ragione. Beth mi vuole bene davvero, non si merita che la tradisca. Ho già deciso cosa le porterò dal mio prossimo viaggio. In un mercato di Bukavu c'è un tizio che vende fiori intarsiati nel legno. Sono belli, le piaceranno. E non hanno bisogno che gli si cambi l'acqua.

martedì 20 ottobre 2015

Lejla e Hamid tornano a Genova

Su Lejla e Hamid questa volta splende il sole!
Vi aspettano alla libreria I Limoni venerdì 23 ottobre alle 18.30.
Con rinfresco finale :)
 

mercoledì 14 ottobre 2015

giovedì 8 ottobre 2015

Disintegrazione sociale

Ha ragione Hamid quando dice:
"Voi italiani non vi interessate molto a noi stranieri. Noi sappiamo tutto delle vostre vite, dei vostri gusti, delle vostre abitudini, voi invece non sapete niente di noi. Cercate sempre di stare lontani, dite che non vogliamo integrarci, ma in realtà chi ha paura di integrarsi siete voi".
È vero, sappiamo poco o nulla delle persone che tentano di raggiungere l'Europa, come se le loro vite iniziassero sui barconi tra le onde del Mediterraneo. Da cosa fuggono? Perché? C'è una guerra nel loro paese? Le persone possono studiare? Hanno da mangiare? C'è libertà di espressione? Nel loro paese c'è una democrazia o una dittatura?
Eppure nei loro confronti abbiamo delle responsabilità storiche, politiche, climatiche che non possiamo eludere.
Diciamo che è anche un po' colpa nostra se negli ultimi 25 anni nel Mediterraneo sono affogate 25.000 persone. Numero ricorrente il 25. Sono infatti 25 i miliardi di € spesi dal 2000 ad oggi per la detenzione e il respingimento dei migranti, con scarsi risultati. Onestamente, un fallimento totale. Del resto i migranti ci sono sempre stati (noi italiani deteniamo il record mondiale) e sempre ci saranno. E non potrebbe essere altrimenti, visto lo squilibrio tra le condizioni di vita esistenti tra i paesi di partenza e quelli di destinazione e la sempre maggiore concentrazione del potere economico e finanziario nel “Nord”.

Purtroppo la situazione non migliora. Il 2016 produrrà il record della disuguaglianza economica mondiale, con l’1% della popolazione più ricca dell’altro 99%.
L’Unione Europea pochi mesi fa non è riuscita a mettersi d’accordo per redistribuire nei 28 paesi membri 40.000 rifugiati in due anni: 40.000! Nel 2013, Pakistan, Iran, Libano, Giordania, Turchia, Kenya, Ciad, Etiopia (8 Paesi, non certo più ricchi degli stati europei), da soli, ne hanno accolti circa 5 milioni e mezzo.
Non solo. Dai media ci è stato presentato come un esodo straordinario, un'invasione, con l'unico risultato di fomentare, se mai ce ne fosse bisogno, la xenofobia.
Perché non ci hanno detto che l’anno scorso gli italiani che sono emigrati sono stati in numero maggiore degli stranieri che sono giunti nel nostro paese?
Perché non ci hanno detto che, oltre a chi fugge da fame e miseria, ci sono stranieri che creano posti di lavoro? Che se guardiamo ai cognomi di titolari di nuove aziende registrate in Lombardia nel 2015, ai primi 4 posti troviamo cognomi stranieri?
Forse perché è più facile alimentare la paura nei confronti del "diverso" che lavorare per un cambiamento culturale che vada verso una reale integrazione.
Come ci ricordano Gordon Neufeld e Gabor Maté, l'integrazione sociale è molto più che il semplice stare insieme o andare d'accordo; la vera integrazione sociale richiede non solo di sapersi unire agli altri, ma di saperlo fare senza perdere la propria individualità e la propria identità.
In Italia, purtroppo, abbiamo ancora molta strada da fare.

martedì 29 settembre 2015

Presentazione di "Lejla e Hamid" - Genova 2/10/2015

Vi aspetto venerdì 2 ottobre alle 18.30 alla libreria I Limoni, a Genova in via Albaro 17r.
Con rinfresco finale!
***
Fissò i suoi occhi in quelli di lei, come aveva fatto innumerevoli volte nell’arco degli ultimi due mesi, con la speranza di riuscire finalmente a scovare quel segreto che mai gli era stato svelato ma che era certo contenesse la chiave per spiegare il mutamento avvenuto in Lejla. Anche questa volta però i suoi sforzi si infransero contro una barriera impenetrabile.
Per la prima volta Hamid ebbe l’impressione che Lejla non si sarebbe più rialzata, non sarebbe mai più tornata ad essere la persona che era prima.


Da "Lejla e Hamid"

venerdì 18 settembre 2015

Lejla e Hamid

Il 25 settembre esce "Lejla e Hamid", il mio nuovo romanzo!
Dopo la storia vera che sembrava inventata de "Il baco e la farfalla", ecco una storia inventata che sembra vera.
Per chi ha paura del diverso, e per chi non ne ha paura.
Per chi non sa che a volte la violenza è nascosta dove meno te lo aspetti.
Per chi, nonostante tutto, ha voglia di amare.
C'è molto di me in questo romanzo, temi a me cari. Durante la scrittura c'è stata un'identificazione con i protagonisti e un affetto crescente nei loro confronti tali da modificare in corso d'opera il destino, inizialmente funesto, di uno di loro.
Buona lettura!

Hamid è un giovane eritreo che ha attraversato l'inferno per giungere in Italia. Lejla è scampata all'orrore di Sarajevo grazie all'amore dei suoi genitori. A fare da sfondo alla loro storia una Genova con le sue mille contraddizioni, la sua paura del diverso, la sua violenza nascosta sotto la patina opaca della società bene. Entrambi saranno costretti a prendere decisioni difficili che faranno vacillare la loro gioia di vivere.

Un romanzo che tocca gli animi e scuote le coscienze e le convinzioni più radicate.

Il libro verrà presentato a Genova venerdì 25 settembre alle 17.45 presso il Galata Museo del Mare (Calata de Mari, 1).

Vi aspetto numerosi!

Dal 25 settembre, lo potete comprare online sul sito della casa editrice (http://www.vallettaedizioni.it/prodotto/lejla-e-hamid/) e sui principali negozi online di libri.

Oppure nelle seguenti librerie:

Punto Einaudi
Salita Pollaiuoli 18r - Genova


L'amico ritrovato
via Luccoli 98r - Genova


I Limoni
Via Albaro 17 - Genova


Finisterre
p.zza Truogoli di S. Brigida 25 - Genova


Capurro
Via IV Novembre 37 - Recco (GE)

Ultima Spiaggia
Via Garibaldi 114 - Camogli (GE)


Ovviamente potete andare dal vostro librario di fiducia e chiedergli di ordinarvene una copia.

giovedì 23 luglio 2015

Bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno?

I giornali da sempre giocano in modo schizofrenico con l'umore della gente.
Italia in ripresa, titolano, mercato dell'auto aumentato del 14% rispetto all'anno scorso (ma siamo poi sicuri che sia una buona notizia?).
Il giorno dopo: pensionato viene sfrattato e si getta dalla finestra (questa è una brutta notizia, non vi è dubbio).
Delle due una. O va meglio o va peggio. Perché in un Paese in cui una persona che perde la casa non si sente tutelata tanto da arrivare a togliersi la vita, non si può dire che le cose vadano bene. Può darsi che la ripresa per qualcuno ci sia, ma se la macchina riparte e tanti, troppi, rimangono a terra, allora c'è qualcosa che non va.
La situazione è per certi versi confusa.
La povertà in Italia è in aumento, in questo caso le statistiche non mentono, ciononostante si ha uno spreco pro-capite di cibo pari a 149 kg all'anno, e ben il 33% viene gettato nella pattumiera di casa. In Europa c'è chi spreca di meno (Grecia, 44 kg) e chi di più (Olanda, 579 kg), resta il fatto che, con tante famiglie che faticano ad arrivare a fine mese, ci si aspetterebbe un comportamento più responsabile (senza scomodare l'etica nei confronti degli 850 milioni di persone al mondo che soffrono la fame).
Il sistema che ha creato povertà negli ultimi decenni andrebbe definitivamente accantonato. Eppure, in attesa di un nuovo paradigma socio-economico, quello stesso sistema viene riproposto tale e quale alla Grecia. Chi lo propone, o è un cieco fautore dell'omeopatia oppure ha dei grossi interessi economici (la seconda ipotesi appare più plausibile).
Un'estate non fa statistica, vero, ma c'è almeno la speranza che il caldo di queste settimane possa convincere gli ultimi scettici che è in atto un cambiamento climatico e che è necessaria un'inversione di rotta. C'è chi parla di un aumento medio di 3 gradi entro fine secolo. Poveri i nostri nipoti. Ce la fate a immaginarli in questi giorni con 3 gradi in più sul termometro?

giovedì 18 giugno 2015

Sposa la spesa

Un tempo per il matrimonio si regalavano piatti ed elettrodomestici. Aveva una sua logica, visto che per i novelli sposi il fatidico "sì" rappresentava il momento del distacco dai rispettivi nidi famigliari. Poi le coppie hanno iniziato a convivere prima di sposarsi e si è virato sul pacchetto viaggio di nozze. E oggi? Sei precario e sottopagato o nel peggiore dei casi disoccupato? Non sai come sbarcare il lunario, vuoi sposarti e sei disposto a rinunciare a una luna di miele indimenticabile? Nessun problema. In fondo c'è chi alla crisi reagisce come può e chi invece come più gli conviene. Crai, una catena di supermercati, ha lanciato la lista nozze fatta di buoni spesa, da consumarsi entro due anni dalla data del matrimonio. Lo slogan? Piuttosto banale: "Sposa la spesa". Due anni. Tenuto conto che in Italia le coppie separate hanno orami superato in numero quelle che resistono sposate, lo scenario di due coniugi che si dividono i buoni spesa di fronte ai rispettivi avvocati non appare poi così remoto. Niente di scandaloso in tutto ciò, meglio avere la pancia piena che guardare sul computer le foto del viaggio alle Maldive a stomaco vuoto. Certo, si è perso un po' di romanticismo, ma di fronte alle necessità non è il caso di fare i pignoli. Con un'unica speranza: che la gente continui a sposarsi perché si vuole bene e non perché non sa più come pagare la spesa al supermercato.

lunedì 25 maggio 2015

Trivelle

Si sono incontrati a Maratea.
Giulia è in vacanza con la famiglia. L'ultima tutti insieme, ha detto ai suoi prima di partire. Antonio fa la stagione come bagnino. Lei bionda naturale. Lui tutto scuro, capelli, occhi, carnagione, come se da bambino si fosse rotolato nella fuliggine per sfuggire a Crudelia De Mon. Lei sempre truccata per coprire qualche brufolo impertinente che tarda a sparire dal viso. Lui in canottiera per sfoggiare il fisico muscoloso, modellato dal lavoro nei campi con il padre.
Ogni sera Giulia aspetta che Antonio finisca di richiudere gli ombrelloni e le sdraio e poi si incamminano mano nella mano lungo la spiaggia, alla ricerca di un posto tranquillo da cui godersi il tramonto, tra un bacio e l'altro.
Lui della Verona di lei sa poco o nulla. Che sia la città di Romeo e Giulietta sì, che la storia l'abbia scritta Shakespeare invece no.
Giulia confessa ad Antonio che a scuola, quando la interrogavano di geografia, sperava sempre che non le chiedessero le province della Basilicata, perché proprio non riusciva a ricordarsele. E che solo dopo aver visto "Basilicata coast to coast" ha realizzato che è bagnata sia dal Tirreno che dallo Ionio. Che i Sassi di Matera non siano pietre, invece, quello l'ha sempre saputo.
E delle trivelle sai qualcosa? Le domanda Antonio una notte in cui osservano il riflesso bianco della luna sulla superficie nera del mare.
Giulia scuote appena la testa.
E così viene a sapere del petrolio sotto le montagne, il più grande giacimento in terraferma d'Europa, e scopre i piani del governo per trasformare in gruviera il terreno di quella splendida regione. Pozzi di interesse strategico nazionale e di pubblica utilità. La possibilità concreta che si passi da un 35% di territorio interessato dalle attività petrolifere al 64%. Un regalino alle multinazionali da parte di un generoso primo ministro. Opere definite urgenti e indifferibili, in modo da zittire le voci contrarie e arginare le proteste della gente a difesa del proprio territorio e della propria salute. Il petrolio crea posti di lavoro, si sentono dire, pazienza se respirate un po' di idrogeno solforato. L'oro nero fa girare l'economia, non importa se per ottenerne 1 kg si producono 37 kg di rifiuti solidi e liquidi da smaltire. Non è il caso di fare un dramma se le acque della regione sono a rischio inquinamento, vi porteremo quella di altre regioni.
Giulia ascolta, attenta. Stenta a riconoscere il ragazzo che ha conosciuto fino a quel momento, le sembra di avere di fianco un uomo. Antonio si scalda. Lottiamo per difendere la nostra terra e la nostra salute e ci accusano di essere contro il progresso. Ci hanno detto che vogliamo rimanere pecorai, come se fare il contadino o il pastore fosse un disonore. Ho sedici anni, una vita davanti. Voglio viverla tutta, fino in fondo, non voglio che qualcuno me la porti via.
Arriva l'ultima sera della vacanza. A mezzanotte si immergono nudi nell'acqua tiepida, poi si amano sotto le stelle, leccandosi il sale sulla pelle.
Il mattino dopo Giulia e Antonio si salutano, promettendosi di scriversi e telefonarsi, ma entrambi in fondo sanno che ognuno andrà per la sua strada, che la distanza che li separa farà diminuire poco a poco l'intensità di quell'amore estivo.
Il viaggio in macchina fino a Verona è lungo. Giulia guarda fuori dal finestrino. Non ha voglia di tornare a casa. La mente corre ad Antonio e alle loro passeggiate in riva al mare. Quando si fermano all'autogrill per fare benzina, fissa il cartello con il cane a sei zampe che sputa fuoco e ripensa alle trivelle. Meno male che in Veneto non c'è il petrolio, sussurra a se stessa, sarebbero capaci di bucare l'Arena. Poi chiude gli occhi e si addormenta, ripetendo a mente le province della Basilicata. 


mercoledì 13 maggio 2015

Ayotzinapa

Ricordo che un giorno parlai con un'amica dei desaparecidos in Sud America durante le dittature militari. Non riuscivo a capire il bisogno dei genitori di ritrovare il corpo, quando tutti sapevano che quei giovani erano morti, gettati dagli aerei nel Río de la Plata.
Cosa te ne fai di un figlio morto?
Ora che hanno portato via il mio Carlito, ora che il governo ci ha detto che lui e i suoi compagni sono stati ammazzati, che è inutile cercarli, solo ora capisco quelle madri e quei padri che non volevano arrendersi all'evidenza.
Rivoglio mio figlio. Ho il diritto di vederlo. Fatemelo riabbracciare un'ultima volta. Aveva vent'anni appena. El Diablito, lo chiamavano i suoi compagni, anche se era un tipo tranquillo. Ecco, ne parlo al passato, come se non ci credessi più nemmeno io alla possibilità che sia ancora vivo.
Il giorno prima di entrare nel comitato di lotta studentesca mi disse: mamma, il 46% della popolazione è povera, l'11% sopravvive in condizioni di povertà estrema. E in questo stesso paese ci sono persone che potrebbero essere ricoperte d'oro dalla testa ai piedi. Non possiamo restare a guardare. Abbiamo il dovere di mettere in pratica gli insegnamenti di chi ha piantato nei nostri cuori i semi della giustizia e della libertà.
Il governo ci ha tolto tutto, alla fine non ci è rimasta nemmeno la paura. E questo non se lo aspettavano. Non erano pronti alle manifestazioni, alla solidarietà che abbiamo ricevuto dalla gente.
Ora ci chiedono di votare. Già, non lo sapevate? Nel ventunesimo secolo non c'è bisogno di dittatori, le persone spariscono anche nelle democrazie. Vogliono il nostro voto per continuare a governare come hanno sempre fatto.
Come si fa a credere a politici che non hanno voluto punire gli assassini di quei poveri sei studenti? Che in sette mesi non sono riusciti a ritrovare quarantatré studenti desaparecidos?
Non mi interessano i vostri discorsi. Ridatemi mio figlio. Solo allora mi fermerò ad ascoltare quello che avete da dire.

sabato 25 aprile 2015

C'era una volta un dittatore...

Oggi è una giornata speciale, ha detto ai suoi figli quando, appena svegli, l'hanno raggiunta nel lettone. Forse preoccupata dall'aver ascoltato alla radio che l'80% delle persone intervistate per strada non sapeva che cosa si celebrasse il 25 aprile, ha deciso che i suoi figli dovessero far parte del restante 20%. Tanti anni fa, ha iniziato a raccontare con voce dolce e tranquilla, in Italia c'era un uomo cattivo che un giorno disse "qui comando io". E tutti dovevano fare come diceva lui, altrimenti mandava degli uomini armati che ti mettevano in prigione. Quell'uomo era un dittatore e si chiamava Mussolini. Dopo un po' di tempo, alcuni uomini coraggiosi si sono incontrati e si sono detti che loro non erano d'accordo che ci fosse quell'uomo che comandava, a loro non andava bene che tutti dovessero fare quello che voleva lui. Questi uomini parteggiavano per un'Italia diversa, più giusta, e per questo motivo si chiamavano partigiani. In gran segreto si sono organizzati e, rischiando la loro vita, hanno iniziato a combattere contro l'uomo cattivo e le sue guardie e sono riusciti a cacciarlo via. Oggi, bambini miei, si festeggia la fine del brutto periodo in cui comandava il dittatore e l'inizio del bel periodo in cui le persone sono tornate ad essere libere.

Un corteo frastagliato, silenzioso, senza cori. Solo il suono malinconico di una cornamusa ad accompagnarlo lungo le vie del centro. Molte bandiere e alcuni striscioni. Donne, uomini, anziani, bambini, insieme in cammino per ricordare e ringraziare chi ha lottato per donarci settant'anni di democrazia.

venerdì 10 aprile 2015

Se non è tortura questa

Stanno entrando! Qualcuno urla. Chi? I black bloc. Chiudete il portone! Non capisco. Che ore sono? Da quanto tempo stavo dormendo? Il portone cede, entrano. Alcuni ragazzi scappano calpestando i molti che sono ancora dentro ai sacchi a pelo. Hanno acceso la luce. Spegnete la luce! Non sono black bloc, sono poliziotti. Ma cosa fanno? Li stanno picchiando. Siamo disarmati! Quel ragazzo ha alzato le mani e il manganello gli è passato esattamente tra le braccia, fracassandogli la testa. Dovrei scappare, ma sono paralizzato dal terrore. Ai piani alti, devo andare a nascondermi ai piani alti. Provo a sollevarmi sulle gambe. Non mi reggono. Sono a dieci metri da me. Ora si stanno accanendo su una coppia di ragazzi che per proteggersi si sono abbracciati stretti l'uno all'altro. Li colpiscono con calci nella schiena. La testa, urlo, proteggetevi la testa con le braccia! Urla di dolore. Pianti. Perché?!?!, urla qualcuno. La risposta è un colpo sordo di manganello. Indossano i caschi, non si vedono nemmeno i loro volti, sembrano robot impazziti. Picchiano senza freni con inaudita violenza. Stanno massacrando il mio vicino, il prossimo sono io. Mi rannicchio in posizione fetale, le mani e le braccia a protezione della testa. Ecco, tocca e me. Un calcio nella schiena. Una manganellata sul braccio. Poi un'altra. E un'altra ancora. Basta! Fermatevi! Un altro colpo, sulle costole. Una fitta acuta, sento che hanno ceduto. Questi mi ammazzano. Mi fa male il braccio, deve essersi rotto anche quello. Altri calci, altri colpi di manganello. Se non smettono, muoio. Non riesco a urlare. Non riesco più a respirare. Poi il buio. Quando riprendo conoscenza, ho il cielo scuro davanti ai miei occhi. Sono sdraiato su una barella, in attesa che mi portino via. Ho male ovunque. Sono vivo. Piango. Le lacrime si mescolano al sangue e scivolano appiccicose sul collo.

La Corte di Strasburgo ha sottolineato che di fronte al semplice sospetto di gravi abusi commessi da appartenenti alle forze dell'ordine, la Convenzione dei Diritti dell'uomo prevede l'allontanamento degli stessi dalle posizioni che occupano già nella fase d'indagine.
Invece per la Diaz è accaduto l'esatto contrario, molti di loro sono stati promossi questori, capi di dipartimento, prefetti, e da indagati e condannati hanno raggiunto livelli apicali. Quelli che hanno dovuto lasciare la divisa sono quasi tutti "caduti in piedi" e gli altri rappresentano ancora lo Stato nelle strade e nelle piazze d'Italia. E sono sempre stati difesi dal Corpo a cui appartenevano e dai vari governi che negli anni si sono succeduti. A quanto pare, viste le dichiarazioni di Renzi, si continuerà su questa linea.

mercoledì 18 marzo 2015

La famiglia "bio"

Sono rimasto sorpreso dalla polemica scatenata dalla dichiarazione di due noti stilisti in difesa della famiglia tradizionale, dove per tradizionale si intende una madre, un padre e dei figli generati attraverso un rapporto sessuale.
L'affermazione per cui i genitori migliori sarebbero quelli biologici è talmente sciocca che sarebbe stato meglio ignorarla. Basterebbe avere una moglie insegnante che un giorno sì e uno no ti racconta le tristi storie famigliari dei suoi studenti e dei loro genitori "bio" per convincersi del contrario.
"Ma come, già mi costa un sacco di soldi mantenerla, che non mi si chieda anche di prendermi cura di lei"
"Mia madre quando provo a parlare a tavola mi dice di stare zitta perché se no non sente la televisione"
"Mi spiace prof, non sono riuscita a leggere ad alta voce una storia con mia madre perché mi ha detto che leggo così male che si annoia"
"Anche questo fine settimana resterò qui in istituto perché né mia madre né mio padre hanno tempo e voglia di stare insieme a me"
Chi desidera adottare un bambino deve sottoporsi a vari colloqui. Bisognerebbe fare un bel test psicologico anche a coloro che possono procreare in cinque minuti di "amore".
Perché da quei cinque minuti nasce un essere umano che non ha chiesto di venire al mondo. La responsabilità e la volontà sono di altri... e un figlio è per sempre, non esiste la formula "da rispedire al mittente se ci si accorge che non si era ponderata a sufficienza la decisione di non mettersi il preservativo".
Un figlio non ha bisogno di condividere il dna con chi si prende cura di lui. Un figlio ha bisogno di affetto, di comprensione, di accettazione. Ha il diritto di crescere in un ambiente sereno. Ha bisogno di figure di riferimento adulte, altrimenti si corre il rischio che le figure di riferimento diventino i suoi coetanei, i suoi compagni di scuola, con conseguenze esiziali per la sua crescita.
E non importa se queste figure sono i genitori "bio". L'importante è che ci siano, siano presenti, che il figlio sia in grado di riconoscerle.
Conosco figli adottati da splendidi genitori che stanno mille volte meglio rispetto a loro coetanei con mamma e papà "bio".
Già, la famiglia "bio" potrebbe rappresentare la perfetta eccezione alla regola per cui il "biologico" fa meglio alla salute (in questo caso si tratta di salute psicologica).
Quando 15 anni fa andai a Cuba, rimasi piacevolmente sorpreso dalla famiglia "allargata", così diffusa nell'isola caraibica. Porte delle case aperte, socialità da cortile o marciapiede, nonni, zii, fratelli, vicini, perfino ex mariti ed ex mogli che condividono spazi comuni... e bambini e ragazzi che giocano a baseball per strada, che muovono i fianchi a ritmo di salsa, che irradiano allegria a 360 gradi con un perenne sorriso appiccicato al viso.
Credetemi, l'asserzione che la famiglia ideale per un bambino sia quella composta da madre e padre biologici è quanto di più stupido mi sia capitato di sentire ultimamente.

mercoledì 18 febbraio 2015

Sbilanciamoci!

Mi sono sempre considerato un ottimista. Invece, da un po' di tempo, non riesco a celare un profondo pessimismo per la situazione sociale ed economica del paese in cui vivo. In fondo posso permettermelo. Non sono Renzi, che per il ruolo che ricopre è obbligato a dire a tutti con il sorriso sulle labbra che le cose andranno meglio e a spacciare ottimismo ai quattro venti, manco la gente potesse nutrirsi di quello o pagarci l'affitto. Dando per scontato che non sia né disonesto né stupido, credo che in realtà sappia anche lui che non sarà così (le cose, cioè, andranno peggio). Eppure dovrebbe sentire il peso della responsabilità, provare almeno un piccolo rimorso per quello che potrebbe fare e invece non fa. Perché manca la volontà per fare andare meglio le cose, non le risorse come da piú parti ci viene ripetuto.

Un recente rapporto dell'ong Oxfam ci conferma ciò che purtroppo già sapevamo. La ricchezza esiste, ma si concentra nelle mani di pochi. Entro il 2016 l’1% della popolazione mondiale avrà più del 50% delle ricchezze, ovvero più del restante 99% della popolazione. Non solo: la ricchezza dei primi 80 multimiliardari è raddoppiata tra il 2009 e il 2014: oggi equivale a quella detenuta da 3,5 miliardi di persone, tutte insieme. 
L'austerità è la causa, non la soluzione del problema. Lo afferma perfino il Fondo Monetario Internazionale (e se lo dicono loro c'è da crederci!) che le manovre adottate finora in nome dell'austerità hanno contribuito ad aumentare le disuguaglianze sociali. I soldi ci sono, bisogna solo decidere come spenderli.

La campagna Sbilanciamoci pubblica ogni anno una contromanovra in cui illustra, dati alla mano, come potrebbero essere spese le risorse a disposizione del governo italiano per aumentare il benessere della società. Un fisco più equo, tagli alla spesa pubblica tossica (spese militari, sostegno all'istruzione-ricerca-sanità private, grandi opere), intervento pubblico in economia. La buona spesa pubblica è quella che investe nell’edilizia popolare pubblica (anziché svenderla), nella tutela dei beni comuni (e non nella loro privatizzazione), in un piano energetico lungimirante, nella preservazione del nostro patrimonio naturale, nell'economia solidale, nella tutela del patrimonio culturale (in Italia in questo settore sono impiegate meno persone che in Germania, Francia, Spagna e Inghilterra).
Non sono proposte utopistiche, sono tutte documentate in modo da ottenere una manovra da 27 miliardi a saldo zero (differenza tra tagli e spese).
 
Alcuni esempi su come recuperare risorse...

Tassazione aggiuntiva sui capitali già scudati (5 miliardi), revoca del condono sui concessionari di videogiochi (2,1 miliardi), rafforzamento della tassa sulle transazioni finanziarie (0,8 miliardi), tassazione degli immobili tenuti vuoti (400 milioni), misure di contrasto al canone nero e irregolare (250 milioni), tassazione dei profitti del settore del lusso (200 milioni) e nocivi, come l’emissione di Co2 delle auto (500 milioni), adeguamento dei canoni di concessione per le attività estrattive (205 milioni) e delle acque minerali (250 milioni), misure fiscali penalizzanti per il rilascio del porto di armi (170 milioni). Cancellare gli stanziamenti previsti dalla legge di stabilità 2015 per le scuole private (471,9 milioni... e c'è ancora qualcuno che pensa che Renzi sia di sinistra) e sostituire con insegnamenti alternativi l’ora di religione nelle scuole il cui costo è stimato in 1,5 miliardi di euro. Rinuncia al programma di acquisto degli F-35 (500 milioni) e della seconda serie di sommergibili U-212 (210 milioni) e il ritiro da tutte le missioni a chiara valenza aggressiva (600 milioni).

E ora veniamo alle spese...

4 miliardi si potrebbero destinare ad un piano di investimenti pubblici per creare occupazione nel settore dei trasporti ferroviari locali, stabilizzare il personale paramedico precario, assumere figure professionali stabili per combattere gli abbandoni scolastici e mettere in sicurezza il nostro territorio. Nuovi posti di lavoro per contrastare il fenomeno del "capitale umano dissipato" tristemente descritto dal Censis nel rapporto di fine 2014. 
Con altri 4 miliardi sarebbe possibile garantire 500 euro al mese individuali a circa 764 mila persone che si trovano in condizioni di povertà assoluta.
900 milioni sarebbero invece destinati a finanziare la ricerca di base e applicata.
Per migliorare il sistema di istruzione pubblico si propone, tra le altre cose, di varare una piano ventennale per l’edilizia scolastica (1 miliardo per il 2015), di garantire il diritto allo studio (300 milioni), di promuovere progetti che favoriscano l’alternanza scuola-lavoro (200 milioni).
Si propone di investire di più nel recupero di immobili di proprietà pubblica per uso abitativo (1 miliardo) e nel sostegno sociale all'affitto (300 milioni).
Non c’è futuro senza salvaguardia dell’ambiente. Per attuare una strategia per l’adattamento ai cambiamenti climatici e alla manutenzione del territorio servirebbero investimenti per 2 miliardi di euro per i prossimi 20 anni. Recuperando le risorse dal taglio delle grandi opere e dalla tassazione delle attività che danneggiano l’ambiente, si chiede che nella Legge di Stabilità 2015 siano stanziati a questo scopo almeno 500 milioni di euro.
Si potrebbe inoltre costituire un fondo di rotazione per le demolizioni delle opere abusive (150 milioni), varare un piano nazionale per la mobilità sostenibile (1 miliardo), promuovere l’installazione di impianti fotovoltaici con accumulo (200 milioni), tutelare le aree protette (30 milioni), istituire un assegno di maternità universale (900 milioni), finanziare nuovi centri antiviolenza (50 milioni), ampliare gli interventi di inclusione sociale e lavorativa dei cittadini stranieri (60,9 milioni), abolire la tassa di soggiorno (26 milioni), rafforzare il sistema nazionale di lotta contro le discriminazioni e il razzismo (30 milioni).
Poche risorse infine basterebbero per sostenere l'Altreconomia, che già esiste, per varare un progetto pilota di ricognizione delle aree dismesse per utilizzarle a fini sociali (1 milione), per sostenere una rete nazionale di mercati e fiere eco&eque (10 milioni), per la realizzazione di dieci progetti pilota per promuovere la piccola distribuzione organizzata (10 milioni).

Che dire... se tutte queste proposte (e altre che non ho menzionato) fossero recepite e attuate, vivremmo senza dubbio in un paese più giusto, più bello, più sostenibile. E forse tornerebbe anche un po' di ottimismo per il futuro.

lunedì 26 gennaio 2015

La parola contraria

A Luca i treni sono sempre piaciuti. Fin da bambino, quando chiedeva a sua madre di portarlo alla stazione di Chiomonte per vederli sfrecciare rumorosi sui binari, con lo spostamento d'aria che gli faceva strizzare lievemente gli occhi. Non erano molti, bisognava sapere l'orario, altrimenti si doveva attendere anche un'ora prima di scorgerne uno in lontananza. Luca aveva 6 anni quando suo padre gli parlò per la prima volta del buco nella montagna. Era un caldo pomeriggio autunnale e i pendii erano ricoperti da un variopinto mosaico dalle sfumature rossastre. "Laggiù un giorno faranno una galleria per i treni lunga quasi 60 km". Luca aveva seguito il braccio teso del padre che indicava un punto indefinito al di là della valle. "E qui di treni ne passeranno sempre meno". Quel giorno Luca ritornò a casa con l'immagine del buco che gli frullava in testa. Avrebbe inghiottito tutti i treni, pensava con tristezza. Ancora non sapeva che il progetto di quel foro sarebbe diventato negli anni a venire il principale argomento di discussione delle cene famigliari. Luca e il progetto crebbero insieme, e insieme cambiarono con gli anni. Oggi Luca ha quasi trent'anni, ma il buco non c'è ancora. E ormai sono molti a pensare che mai ci sarà. Perché quella montagna è piena di amianto e uranio e perforarla è una follia, perché il traffico di merci lungo quella linea negli ultimi quindici anni è costantemente diminuito, perché la linea attuale sarebbe comunque in grado di assorbirne 5 volte tanto, perché i 24 miliardi di euro che andrebbero spesi per realizzare il progetto non sono giustificati dai benefici che ne deriverebbero (per la società, si intende, non per chi pensa di lucrarci sopra). Perché, pensa Luca oggi, quei soldi sarebbe meglio spenderli per sanità, istruzione, ricerca, asili nido e pensioni. Luca, con gli anni, ha imparato tante cose. Era ancora un adolescente quando suo padre è tornato a casa con un taglio profondo sulla fronte, a dimostrazione che anche chi manifesta il proprio dissenso in modo pacifico può prendersi una manganellata in testa. Era già un uomo quando circa un anno fa uno scrittore è stato denunciato per essersi espresso contro il progetto, a dimostrazione che la libertà di parola è un diritto sancito dalla Costituzione purché non si tratti di parola contraria.
Luca oggi aspetta un figlio. L'altra sera, appoggiando una mano sulla pancia della sua compagna, gli ha promesso due cose: che lotterà perché possa crescere in una valle non inquinata e che lo porterà alla stazione tutte le volte che vorrà per vedere passare i treni.

Il 10 settembre 2013 la società costruttrice francese LTF denunciò lo scrittore Erri De Luca per istigazione al sabotaggio della TAV in Val di Susa. Il rinvio a giudizio è stato fissato per il 28 gennaio 2015. Dopodomani, in un'aula del tribunale di Torino, il processo non riguarderà una singola persona. In gioco c'è molto di più. C'è l'articolo 21 della Costituzione e il diritto di poter liberamente manifestare la propria opinione.

"Istigare un sentimento di giustizia, che già esiste ma non ha ancora trovato le parole per dirlo e dunque riconoscerlo...
Di fronte a questa istigazione alla quale aspiro, quella di cui sono incriminato è niente"
"Uno scrittore ha in sorte una piccola voce pubblica... suo ambito è la parola, allora gli spetta il compito di proteggere il diritto di tutti a esprimere la propria"
Erri De Luca (La parola contraria)