"Tutto cambia al di là di queste mura.
Qui invece tutto resta uguale, cristallizzato. Siamo un baco che mai si trasformerà in farfalla"

giovedì 23 ottobre 2014

Romeo

Te ne sei andato troppo presto, senza preavviso.
Avrei voluto dirti ancora un sacco di cose. Avrei voluto sentire ciò che mi avresti detto, sicuro che sarebbe stato qualcosa di intelligente che valeva la pena ascoltare. Avrei voluto farti vedere come sono cresciuti i miei figli. Avrei voluto ridere e scherzare. Avrei voluto cogliere, almeno una volta ancora, il tuo saper vivere con leggerezza, quella che "non è superficialità ma planare sulle cose dall'alto, non avere macigni sul cuore".
E tutto ora mi sembra ingiusto, come quando se n'erano andati Angela e Matteo. So che passerà, che resterai un bel ricordo, che riuscirò a ripensare a te con un sorriso, senza questa tristezza che mi stritola e non mi dà tregua.
Tempo, mi ripeto, ci vuole tempo.
È in momenti come questo che guardo con invidia a chi può affidarsi alla fede per riuscire ad affrontare il vuoto che la morte di un amico lascia dietro di sé, a chi può afferrarsi all'idea che un domani ci si possa rincontrare per poter più in fretta vincere il dolore. Eppure, sono proprio questi momenti ad allontanarmi maggiormente da Dio, perché se è vero che in fondo potrei anche non rifiutare la sua esistenza, pur non essendo in grado né di provarla né di negarla, "è il mondo da lui creato che io non accetto e non posso piegarmi ad accettare".

mercoledì 1 ottobre 2014

L'identità rubata

Gabriel aveva riflettuto a lungo prima di prendere quella decisione. Una decisione che avrebbe potuto rimettere in gioco tutto, stravolgere la sua vita. Si ricordava il momento esatto in cui si era posto quella domanda scomoda, che tante altre volte gli era balenata per la testa, ma di cui mai aveva voluto veramente conoscere la risposta. Era accaduto cinque mesi prima, il giorno del suo trentaseiesimo compleanno. C'erano tutti i suoi amici più cari, quella sera. Mauro, Pepe, Eduardo, Anita, Lola. E poi lei, Evita, con il suo solito sorriso contagioso, quel sorriso con cui lo svegliava ogni mattina da quando, tre anni prima, erano andati a vivere sotto lo stesso tetto. Gabriel aveva soffiato sulle candeline con la sensazione di sempre, che un altro anno era trascorso e nella sua vita nulla sarebbe cambiato. Una stabilità che lo rassicurava, che lo rendeva felice. Più tardi invece, quando il mate passava di mano in mano, infido si era fatto strada nella mente il pensiero che fosse giunto il momento di trovare la risposta a quella domanda, il momento di rischiare.
Già qualche anno prima c'era stata quella richiesta, una foto della mamma incinta impossibile da trovare, e la fastidiosa sensazione di aver creato un profondo imbarazzo. Possibile che i suoi non se l'aspettassero? In fondo era scontato che quelli della sua generazione, nati nella seconda metà degli anni '70, prima o poi chiedessero informazioni sulle proprie origini. Nonostante la foto non fosse mai saltata fuori, all'epoca Gabriel non aveva permesso che il dubbio incrinasse l'equilibrio della sua esistenza. Intimamente era convinto che i suoi "veri" genitori fossero coloro che lo avevano cresciuto, che gli avevano voluto bene, che lo avevano fatto studiare, che lo avevano aiutato a diventare uomo. E pazienza se non assomigliava né a mamma né a papà.
Quel non porsi domande, quel guardare avanti invece che indietro, quel sentirsi protetto nella stabilità del presente, avevano resistito fino al giorno del suo trentaseiesimo compleanno. Nei giorni e nelle settimane a venire aveva lasciato che il dubbio iniziasse a circolare libero e si impossessasse poco a poco dei suoi pensieri, senza opporvi resistenza. Immagini viste in film e lette nei libri non gli avevano dato tregua. Teste infilate in secchi pieni di orina, unghie strappate con le pinze, scariche elettriche su capezzoli e genitali, uomini e donne gettati vivi dagli aerei nel Rio de la Plata. Per la prima volta aveva provato il desiderio, violento e irrefrenabile, di sapere se fosse o meno un figlio di desaparecidos.
Ci erano voluti cinque mesi per trovare la forza di presentarsi in ospedale per il test del DNA, mesi durante i quali aveva più volte cercato di convincere se stesso che se avesse scoperto di essere stato adottato, l'amore che provava per i suoi genitori non sarebbe stato intaccato e la sua vita avrebbe potuto continuare uguale. Più il tempo passava, però, più faceva fatica a crederlo. 
Le porte a vetri si spalancarono e Gabriel si avviò con passo deciso verso la reception. Varcata la soglia, si sentì all'improvviso leggero. Ora, finalmente, avrebbe saputo la verità e, qualunque fosse stata, si sarebbe tolto quel macigno che da qualche mese si portava appresso.

Dedicato a Ignacio Hurban (Guido), figlio di Walmir Oscar Montoya (ucciso nel 1977) e Laura Carlotto (uccisa nel 1978), nipote di Estela Carlotto (presidente dell'associazione "Abuelas de Plaza de Mayo"), che sottoponendosi volontariamente alla prova del DNA ha scoperto lo scorso agosto la sua vera identità. Fino ad oggi, grazie al lavoro dell'associazione, sono stati ritrovati 114 bambini sottratti dopo la nascita ai loro genitori nei campi di prigionia e tortura durante la dittatura militare in Argentina (1976-1983).

"La peor de las verdades siempre es infinitamente mejor que la más dulce de las mentiras"
Ignacio Guido Montoya Carlotto