"Tutto cambia al di là di queste mura.
Qui invece tutto resta uguale, cristallizzato. Siamo un baco che mai si trasformerà in farfalla"

martedì 20 dicembre 2016

Istruire al precariato

In Svizzera il futuro lavorativo delle persone viene deciso a 11 anni. A un'età in cui si è ancora bambini, infatti, occorre superare un test per poter fare in seguito il liceo, unica scuola che dà l'accesso all'università. Il test, per la cronaca, è molto più difficile rispetto alle competenze acquisite fino a quel momento (piuttosto scarse, se confrontate per esempio con quelle fornite dalla scuola elementare e dalla prima media italiane). Ma non è finita qui. I posti disponibili sono limitati e anche se fai il test molto bene, se c'è un numero sufficiente di bambini che l'hanno fatto meglio di te, puoi scordarti l'università (ogni anno a Zurigo mediamente solo il 20% degli studenti che vorrebbe fare il liceo riesce poi a farlo). E andrai a fare un lavoro meno qualificato, ma comunque utile alla società.
Ingenuamente si potrebbe pensare che il folle sistema svizzero abbia almeno come scopo quello di limitare il numero dei laureati, perché i posti di lavoro qualificati non sono molti. Niente di più sbagliato. In Svizzera ci sono un sacco di medici, ingegneri, architetti e ricercatori stranieri, molti dei quali italiani. In pratica, nel piccolo e ricco paese alpino risparmiano sulla formazione e accolgono a braccia aperte chi è stato formato altrove, con un ragionamento che da un punto di vista economico non fa una grinza: formare un medico costa un sacco di soldi, meglio se formiamo operai, impiegati e cassieri del supermercato, il medico invece lo importiamo dall'estero. Più o meno il contrario di ciò che accade in Italia, dove abbondano i laureati disoccupati e dove la precarietà non è più un periodo transitorio in attesa di un inserimento stabile nel mercato del lavoro, bensì una condizione strutturale. E dove i diritti, ormai mantenuti da pochi, vengono considerati privilegi. Forse questo problemino elementare di costi e benefici bisognerebbe farlo notare al ministro del lavoro, che questo sistema indegno ha contribuito a creare, e che nei giorni scorsi ha candidamente affermato che l'emigrazione dell'esercito dei precari è un bene per il paese, così "non li abbiamo più tra i piedi".

venerdì 30 settembre 2016

Divide et impera

Succede che un giorno devi prendere un treno per andare a fare una visita medica. Succede anche che proprio quel giorno le ferrovie hanno indetto uno sciopero. Dopo alcune imprecazioni, prevale il senso di solidarietà con i lavoratori: se scioperano, avranno le loro buone ragioni per farlo. Non ti scoraggi e guardi sul sito delle ferrovie per avere delle informazioni. Vieni accolto da un messaggio particolarmente irritante: le Frecce circoleranno regolarmente. Ecco, pensi, hanno già deciso a chi deve dare fastidio questo sciopero: alla povera gente che non si può permettere le Frecce e ai pendolari, considerati dai vertici di Trenitalia una clientela di serie B (pur essendo la maggioranza dei viaggiatori, 2 milioni (!) al giorno, mentre nell'intero 2013 sulle Frecce hanno viaggiato "appena" 42 milioni di persone). Del resto la penalizzazione dei pendolari è in corso già da parecchi anni, e ha avuto un'impennata grazie soprattutto al buon Moretti (tuttora in attesa di giudizio per la strage di Viareggio), che dopo aver fatto un pessimo servizio al trasporto pubblico su rotaia (con il risanamento dei conti come unico obiettivo) è stato promosso in Finmeccanica. E il futuro non si prospetta migliore, visto che Renzi ha appena presentato un piano per privatizzare le Frecce, facendole però viaggiare su binari pubblici (in pratica, socializzare le perdite e privatizzare i profitti).
Ma torniamo allo sciopero. Cerchi di scacciare l'irritazione e vai alla ricerca di informazioni: sul sito di Trenitalia c'è un bell'elenco dei treni che saranno cancellati. Ti rallegri per la trasparenza dell'informazione e per il fatto che il treno che devi prendere la mattina successiva non compare nell'elenco. Ti svegli all'alba, vai in stazione e scopri che il tuo treno è stato cancellato. Viaggio rimandato (non c'è modo di arrivare a Voghera in tempo per la coincidenza) e visita medica saltata.
Mentre ti accingi alla trafila burocratica per recuperare almeno i soldi del biglietto, pensi che in fondo è tutto "normale". Perché stupirsi e indignarsi? Le cose funzionano così. Da sempre, chi detiene il Potere fa di tutto per mettere i poveri contro i poveri. Scannatevi tra di voi, che io me ne sto beato a godermi la mia ricchezza, il mio benessere, il mio Potere.
Succede nel mondo del lavoro (pendolari contro scioperanti).
Succede nel mondo della finanza, dove le banche (salvate con i soldi di tutti, anche dei poveri) fanno credito solo a chi non ne ha realmente bisogno, mentre se non possiedi nulla devi sgomitare, più contro che insieme, con gli altri poveri, per sbarcare il lunario. Il Nobel (per la pace, mica per l'economia!) a Yunus per il microcredito è stata una bella cosa, ma nel mondo occidentale non è cambiato nulla e non è stato importato quel modello (almeno nella finanza tradizionale).
Succede nel mondo dell'immigrazione, con l'abietta divisione tra migranti economici (serie B) e migranti politici (serie A).
Poveri contro poveri, il tutto con l'intento di distogliere i cittadini dal punto verso cui dovrebbero indirizzare la propria rabbia, la propria frustrazione, la propria indignazione. Il punto in cui è concentrato il Potere. Potere che, tra l'altro, fa di tutto per mantenere il popolo nell'ignoranza, obiettivo facilmente perseguibile dato che il Potere controlla i grandi mezzi di (dis)informazione.
Un esempio geniale della malafede dei media si può ritrovare sul Corriere (ma la notizia è apparsa anche su Repubblica, Il Fatto, Avvenire e altri). Qualche settimana fa sul quotidiano milanese (principali azionisti: Urbano Cairo (Cairo Communication-RCS), Mediobanca S.p.A, Diego Della Valle, Finsoe S.p.A. (Unipol), China National Chemical Corporation) si sono scandalizzati perché in un ospedale nel nord del Venezuela i bambini vengono messi in scatole di cartone. Poveri bambini venezuelani! Quale occasione migliore per sparare a zero su uno dei tanti "regimi" latinoamericani che (con tutti i loro limiti, n.d.a.) si oppongono al neoliberismo? Oppure (tutto è possibile) non sarà per caso invidia? Ma come, laggiù, con tutti i problemi che hanno, c'è un boom di nascite, mentre qui da noi (che invece stiamo benissimo e non abbiamo nessun problema) dobbiamo inventarci il "fertility day"!
Dove sta la malafede, vi starete domandando? Qualche anno fa (giugno 2013), sullo stesso giornale, si era sprecato inchiostro per elogiare la tradizione finlandese che prevede che tutti i neonati vengano messi per i primi mesi di vita in scatole, pardon, culle di cartone, sostenendo che tale pratica possa perfino ridurre la mortalità infantile (vedi link di seguito) e, udite udite, promuovere l'idea di uguaglianza tra i neonati (questo refuso che "inneggia al socialismo" deve essere sfuggito al revisore dell'articolo). Che fortunati i bambini finlandesi!
In fondo (e purtroppo) si può tranquillamente affermare, con il permesso di Remarque, che non c'è "niente di nuovo sul fronte occidentale": mantieni il popolo nell'ignoranza e, soprattutto, divide et impera.

Gli articoli sul Corriere:

mercoledì 21 settembre 2016

Figli "imperfetti" di genitori "perfetti"

Philip Roth, nel suo libro forse più famoso (Pastorale Americana), descrive magistralmente l’impotenza di un padre “perfetto” nei confronti di una figlia “imperfetta”. Seymour Levov, lo "Svedese", si tormenta alla ricerca di un errore che non riesce a trovare. Disperato, ripercorre a ritroso la vita della sua famiglia, analizza in dettaglio situazioni più o meno importanti, scandaglia l’infanzia e l’adolescenza di sua figlia. Inutilmente. È sempre stato un padre presente, tenero, paziente. Ha ascoltato la figlia quando c’era da ascoltarla, l’ha assecondata nei suoi desideri, senza tuttavia viziarla. Le ha trasmesso dei valori morali e sociali. L’ha fatta studiare. Eppure, ne è convinto, deve esserci stato un momento in cui tutto si è guastato. Una causa che ha determinato la devianza, che l’ha portata, in segno di protesta contro la guerra in Vietnam, ad ammazzare quattro persone, quattro vittime innocenti.
Il libro, soprattutto per chi è genitore, è piuttosto angosciante. E ancor più per chi ha dei figli ancora piccoli. Nessuna delle scelte che si compiono per i figli è casuale. Quello che si dà loro da mangiare, la scuola in cui li si iscrive, lo sport che gli si propone di fare, le regole che si decidono di avere in casa e fuori, quando essere più comprensivi e quando invece più intransigenti. E tutto pensando che ogni scelta possa rappresentare il meglio per loro, per il loro presente e per il loro futuro. Un futuro, però, del tutto ignoto. Alzi la mano chi non ha desiderato almeno una volta una sfera di cristallo per poter dare una sbirciatina ai propri figli tra dieci o quindici anni. A volte diciamo con Chiara che i nostri figli da grandi si lamenteranno con lo psicologo per le troppe minestre mangiate o per non aver avuto la televisione. In verità coltiviamo la speranza che quelle scelte, insieme a tutte le altre, possano davvero rappresentare il meglio per il futuro dei nostri figli. La realtà, invece, è che per quanto possiamo impegnarci a fare quello che reputiamo migliore per loro (e già qui ci sarebbe da discutere sulla soggettività delle scelte), ci sarà sempre la possibilità che le cose non vadano nel modo sperato (dove per “non sperato” non mi riferisco a una laurea in lettere piuttosto che in filosofia). Un futuro, quello dei nostri figli, che ci auguriamo di un certo tipo, ma che non possiamo prevedere, e su cui abbiamo un controllo più limitato di quanto crediamo.
In fondo (e, aggiungerei, per fortuna), l'influenza esterna è inevitabile. Matteo, che non ha mai sentito parlare di calcio in casa, un giorno è tornato dall'asilo e mi ha domandato: "Papà, cosa vuol dire che la Juventus fa schifo?". L'esperienza al di fuori dell'ambito famigliare è necessaria per allargare gli orizzonti (si spera non solo quelli calcistici!). Dobbiamo quindi rassegnarci e rinunciare alle scelte che facciamo "per il bene dei nostri figli"? Non credo. L'educazione che diamo ai nostri figli serve proprio per fornire loro gli strumenti per sapersi muovere in un mondo dagli orizzonti più ampi. Non dobbiamo temere l'influenza esterna, purché i figli non ci sostituiscano, come figura di riferimento, con un loro coetaneo. In questo caso le conseguenze possono risultare tragiche, come ci ricordano Gordon Neufeld e Gabor Maté nel bel libro "I vostri figli hanno bisogno di voi". Che poi è, in parte, quello che succede a Merry, la figlia di Seymour Levov.
Non possiamo pensare di plasmare, con le nostre scelte, il figlio "perfetto", per il semplice fatto che il figlio "perfetto" non esiste. Ma non solo. Dobbiamo anche essere pronti ad affrontare la realtà di un figlio "imperfetto", senza per questo trascorrere il resto della nostra vita a ricercare un errore che quasi certamente non riusciremmo a trovare. Non perché di errori non ne abbiamo commessi. Al contrario, le giornate trascorse con i nostri figli sono costellate di sbagli, di cose che avremmo potuto fare diversamente e, in molti casi, meglio. Sarebbe una ricerca priva di senso per il semplice motivo che, inevitabilmente, ignoriamo gran parte di ciò che ha influenzato e che influenzerà la vita dei nostri figli.

lunedì 5 settembre 2016

Lejla e Hamid ad Alessandria!

Dopo la pausa estiva, Lejla e Hamid riprendono il loro viaggio per l'Italia per incontrare i lettori.
E questa volta si mangia anche! Vi aspetta un invitante menù di piatti cucinati con prodotti locali.
Sabato 10 settembre, alle 19.45, presso Casa Manuelli, via Quaglia 19, San Michele Alessandria.

mercoledì 24 agosto 2016

Intervista per "Gli scrittori della porta accanto", di Elena Genero Santoro

Raccontaci qualcosa di te: chi è Diego Repetto nella vita di tutti i giorni?
Sono ricercatore (fisico), scrittore, marito e padre felice (ho due splendidi bimbi di 5 e 6 anni). Nel 2002, dopo la laurea, sono emigrato all’estero spinto dal desiderio di conoscere nuovi luoghi e confrontarmi con persone di diversa cultura. Ho lavorato come ricercatore in Svizzera, Germania e Spagna. Nell’aprile del 2012 ho fatto ritorno in Italia e attualmente vivo a Genova con la mia famiglia.
Mi piace leggere e andare al cinema. Non possiedo un'automobile e nemmeno una televisione. Ho una bicicletta e due grandi passioni: la pallacanestro e il mare, quello blu e profondo.
In passato ho collaborato con Fairwatch, blog sulle altre economie. Collaboro con Comune-info, blog di informazione indipendente su beni comuni, decrescita, altra economia. Scrivo di attualità su un blog personale.

Questo è il primo romanzo che pubblichi?
No. Nel 2011 è stato pubblicato il mio primo romanzo, “Il baco e la farfalla”, ispirato a fatti realmente accaduti.

Veniamo al libro, “Lejla e Hamid”, Valletta Edizioni. Com’è nata l’idea?
L'idea è nata a Valencia, in Spagna, nel Novembre del 2010. Alla radio diedero una notizia che mi colpì in modo particolare. Una ragazza era stata violentata sette anni prima da un uomo che, dopo essere stato condannato, aveva scontato la sua pena in carcere. L’uomo era fuori da qualche settimana e si trovava al bar con alcuni amici. Gli si era avvicinata una donna, gli aveva rovesciato addosso una tanica di benzina e gli aveva dato fuoco. Quella donna era la madre della ragazza. Il tempo non era riuscito a liberare l’animo di quella donna da un odio così profondo da portarla a compiere un gesto folle e tragico. Si dice che il tempo curi tutte le ferite, evidentemente non era stato quello il caso. Da lì, da quella notizia ascoltata alla radio, nacque l’idea di scrivere un libro sulla violenza sessuale e sulle drammatiche conseguenze fisiche e psicologiche di chi la subisce.

È un libro di narrativa non di genere. Ci racconti di che cosa parla?
Il libro narra la storia di un incontro tra Lejla, una ragazza bosniaca adottata da una famiglia della “Genova bene”, e Hamid, un ragazzo eritreo che fa il venditore ambulante. Due giovani accomunati da un passato di guerra, ma che vivono un presente completamente diverso. Ciononostante, ne nasce una storia d'amore carica di passione che viene messa in crisi da una notte di follia, in cui Lejla viene violentata da un “amico”.

Qual è il target a cui ti rivolgi? Che tipo di lettori ambisci a conquistare?
È un libro per adulti, lettori interessati a storie intense riguardanti le attuali problematiche sociali. Ma è anche un libro che mi farebbe piacere che fosse letto da ragazzi coetanei dei due protagonisti (19 e 23 anni). Penso che potrebbero per certi versi identificarsi in Lejla e Hamid e imparare qualcosa dei loro pregi e dai loro difetti. E, pur non augurando a nessuno di vivere una simile esperienza, comportarsi in modo diverso da come si comporta Lejla (dopo lo stupro si chiude in se stessa e non denuncia l'aggressore).

Quanto ti ha coinvolto intimamente la stesura di questo romanzo? C’è qualcosa di autobiografico?
Mi ha coinvolto parecchio, tanto da cambiare in corso d'opera il destino della protagonista, alla quale nel frattempo mi ero affezionato. Di autobiografico non c'è molto, se si esclude la passione di Lejla per la pallacanestro e la sua predilezione per il gelato alla nocciola.

Racconti di una fuga dall’Eritrea e anche gli orrori a Sarajevo fanno da sfondo. Per scrivere questo libro hai dovuto svolgere delle ricerche?
C'è stato un lungo e interessante lavoro di approfondimento e ricerca: sulla situazione in Eritrea (da oltre 20 anni c'è una dittatura di cui nessuno parla), sull'assedio di Sarajevo e gli orrori della guerra nella ex-Jugoslavia, sui viaggi dei migranti dall'Africa all'Italia, sullo sfruttamento dei migranti nei campi del Sud Italia, sui centri di permanenza temporanea, sul mondo degli ambulanti e, infine, sulle conseguenze psicologiche e fisiche sulle vittime di violenza sessuale (immedesimarsi in una donna che ha subito uno stupro è stata forse la parte più difficile da scrivere, e i tanti complimenti ricevuti a proposito da chi ha letto il libro mi hanno gratificato e fatto capire di essere riuscito a fare un buon lavoro. Qualcuno addirittura mi ha detto che non pensava che un uomo potesse descrivere così bene le sensazioni di una donna).

Parli della paura del diverso e dell’ipocrisia della società. C’è qualche messaggio particolare che speri di comunicare attraverso questo romanzo?
Il problema della società italiana (e in parte europea) non è l'immigrazione, come i media vorrebbero farci credere. Lo stato sociale è a forte rischio e senza gli stranieri il crollo avverrebbe con certezza e in tempi rapidi. Il problema è l'integrazione. Andrebbero investiti soldi non per impedire l'arrivo dei migranti, bensì per combattere lo sfruttamento, per fomentare l'accoglienza e il vivere insieme nel rispetto della propria diversità, garantendo a tutti uguali diritti e doveri. L'amore può aiutare a superare le barriere e il timore nei confronti del diverso. Ovviamente l'amore da solo non basta. Per quanto riguarda invece la violenza sulle donne, occorrerebbe investire risorse per far emergere il sommerso. Il 90% delle violenze non viene denunciato. Nelle vittime nasce spesso un senso di colpa, in uno stravolgimento di ruoli che appare dal di fuori incomprensibile e paradossale. Il tutto però è causato da un'impostazione della società tutt'oggi con forti connotati maschilisti. Il senso di impunità di cui gode chi commette una violenza andrebbe cancellato, sia con un impegno istituzionale, sia con un profondo cambio culturale. In quest'ottica appaiono fondamentali un aumento di fiducia nella giustizia e nelle istituzioni, e un profondo cambiamento culturale, possibile solamente se si inizia a lavorare in questo senso già dai primissimi anni del percorso educativo delle nuove generazioni.

Il finale chi l’ha deciso? Tu o i tuoi personaggi?
L'ho deciso io, con l'idea di trasmettere un pensiero in cui credo molto. A qualcuno è parso che il libro finisca male. Per me invece contiene un forte messaggio di speranza.

Grazie per essere stato con noi, Diego. In bocca al lupo per i tuoi progetti futuri.

http://www.gliscrittoridellaportaaccanto.com/2016/08/anteprima-diego-repetto-racconta-leijla.html 

venerdì 1 luglio 2016

Aurora

Nell'era della tecnologia, dove sempre più cose funzionano "online", tra cui la promozione di un libro, restano ancora, per fortuna, momenti "reali" di incontro. Le presentazioni rappresentano per me un momento irrinunciabile di incontro con i lettori, momenti in cui alla fine può accadere che una bambina si alzi dal pubblico, ti venga incontro e ti consegni un foglio che ti riempe il cuore. Lejla e Hamid, questa bambina, se li è immaginati così. Grazie Aurora!

martedì 31 maggio 2016

Genesi di un libro

Da dove nasce un libro?
Perché proprio "quel" libro?
Quali parti sono state più difficili da scrivere?
Quanto un autore si affeziona ai protagonisti?

Le risposte a queste e altre curiosità in un articolo pubblicato su Marea (primo articolo della rivista scritto da un uomo!) e su Comune-info:

http://comune-info.net/2016/05/lejla-hamid-la-paura-del-diverso/ 

mercoledì 4 maggio 2016

Video-Intervista su Radio delle Donne

Dopo cena piacevole e rilassante con chiacchierata su Lejla e Hamid con l'amica giornalista Monica Lanfranco:

Video-Intervista pubblicata su Radio delle Donne, il primo podcast femminista italiano:

venerdì 22 aprile 2016

Pensioni

La dichiarazione del presidente dell'Inps che prevede un'età pensionabile di 75 anni per le nuove generazioni dovrebbe far preoccupare parecchio. Ma come in ogni situazione, se da un lato c'è chi ci rimette, dall'altro c'è qualcuno che si frega le mani. Banche e compagnie assicurative che offrono pensioni integrative non possono che rallegrarsi del fatto che la gente andrà in pensione sempre più tardi. Per loro infatti significa più introiti (contributi versati per più anni) e meno uscite (pensione pagata per meno anni).
Un motivo in più per rifiutare la "truffa" del vitalizio integrativo, il cui ammontare dipende sì dai soldi versati, ma se consideriamo una cifra ragionevole di 50.000 euro, risulterà di qualche centinaio di euro al mese (nessuno si sbilancerà dicendovi una cifra precisa, ma l'ordine di grandezza è quello). In pratica come vitalizio verrà data una cifra pari, euro più o euro meno, agli interessi annui sulla cifra totale versata. Con una differenza sostanziale: quei soldi non appartengono più a chi li ha versati, ma sono di proprietà dell'ente finanziario, che ne disporrà interamente alla morte del titolare della pensione integrativa.
Visto il futuro oscuro delle pensioni, mettere da parte un po' di soldi ogni anno, per chi se lo può permettere, è certamente una scelta saggia. Bisognerebbe però evitare di stipulare un vitalizio integrativo. In questo modo, una volta raggiunta l'età della pensione, basterebbero gli interessi annui sulla cifra risparmiata per ottenere l'equivalente della pensione integrativa, con la libertà di potere in qualunque momento utilizzare i soldi come meglio si crede. Spenderseli tutti, per esempio, se ti dicono che ti restano pochi mesi di vita (anche senza aspettare di andare in pensione!), oppure decidere di lasciarli ai propri figli, ai quali invece non spetterebbe nulla se quegli stessi soldi fossero stati investiti in una pensione integrativa. Morto il pensionato, volatilizzati tutti i soldi versati (per gli eredi, non per le banche!).
In un paese in cui esistono pensioni d'oro, baby-pensioni e pensioni da fame, possibile che non si riescano a concepire delle pensioni normali?
Vero è che il paese invecchia, la gente vive di più (ma si ammala prima!), il tasso di natalità è prossimo allo zero. Un po' ci salvano gli stranieri, che figli ne fanno più di noi, e che in molti casi versano contributi che oggi finanziano lo stato sociale e che mai verranno recuperati da coloro che li hanno versati, perché in molti casi non ci sono convenzioni tra l'Italia e i paesi di origine.
Altro aspetto preoccupante dell'invecchiamento della popolazione è che un paese di ultrasettantenni chiederà sempre più di costruire ospizi invece che asili nido, di investire in certi settori e non in altri (e voterà chi glielo prometterà). Le nuove generazioni saranno sempre meno tutelate e coloro che sono stati la prima generazione a stare peggio dei propri genitori (i quarantenni di oggi), non potranno essere il salvagente a cui i figli potranno aggrapparsi per non sprofondare un domani nell'indigenza.
In nome della flessibilità è stata sacrificata negli ultimi vent'anni gran parte dei diritti acquisiti in ambito lavorativo, in una spirale al ribasso in cui raramente sono stati toccati i privilegi, da cui invece avrebbe avuto senso partire.
Eppure, ammesso e non concesso che la flessibilità fosse la via da percorrere, sarebbe bastato guardarsi intorno per provare a metterla in pratica senza radere al suolo mezzo secolo di lotte sindacali. Il modello danese che associa flessibilità a sicurezza (flexicurity) è lontano anni luce. In Italia si sono scordati della seconda o, meglio detto, l'hanno trasportata dal lavoro ad altri ambiti. La sicurezza di non poter ottenere un mutuo, di non poter mettere al mondo tanti figli, di non riuscire a programmare un futuro, di non potersi prendere cura della propria salute come si vorrebbe, di andare in pensione quando si sarà troppo vecchi per godersela. Tutte sicurezze di cui la gente avrebbe fatto volentieri a meno.

giovedì 14 aprile 2016

Referendum

Il 17 aprile ci sarà un referendum, uno dei pochi momenti rimasti in cui i cittadini possono davvero dire la loro. Non sprechiamo l'occasione e andiamo a votare. Sul tema del referendum ripropongo un breve racconto scritto un anno fa, ma quanto mai attuale.

Trivelle 

Si sono incontrati a Maratea.
Giulia è in vacanza con la famiglia. L'ultima tutti insieme, ha detto ai suoi prima di partire. Antonio fa la stagione come bagnino. Lei bionda naturale. Lui tutto scuro, capelli, occhi, carnagione, come se da bambino si fosse rotolato nella fuliggine per sfuggire a Crudelia De Mon. Lei sempre truccata per coprire qualche brufolo impertinente che tarda a sparire dal viso. Lui in canottiera per sfoggiare il fisico muscoloso, modellato dal lavoro nei campi con il padre.
Ogni sera Giulia aspetta che Antonio finisca di richiudere gli ombrelloni e le sdraio e poi si incamminano mano nella mano lungo la spiaggia, alla ricerca di un posto tranquillo da cui godersi il tramonto, tra un bacio e l'altro.
Lui della Verona di lei sa poco o nulla. Che sia la città di Romeo e Giulietta sì, che la storia l'abbia scritta Shakespeare invece no.
Giulia confessa ad Antonio che a scuola, quando la interrogavano di geografia, sperava sempre che non le chiedessero le province della Basilicata, perché proprio non riusciva a ricordarsele. E che solo dopo aver visto "Basilicata coast to coast" ha realizzato che è bagnata sia dal Tirreno che dallo Ionio. Che i Sassi di Matera non siano pietre, invece, quello l'ha sempre saputo.
E delle trivelle sai qualcosa? Le domanda Antonio una notte in cui osservano il riflesso bianco della luna sulla superficie nera del mare.
Giulia scuote appena la testa.
E così viene a sapere del petrolio sotto le montagne, il più grande giacimento in terraferma d'Europa, e scopre i piani del governo per trasformare in gruviera il terreno di quella splendida regione. Pozzi di interesse strategico nazionale e di pubblica utilità. La possibilità concreta che si passi da un 35% di territorio interessato dalle attività petrolifere al 64%. Un regalino alle multinazionali da parte di un generoso primo ministro. Opere definite urgenti e indifferibili, in modo da zittire le voci contrarie e arginare le proteste della gente a difesa del proprio territorio e della propria salute. Il petrolio crea posti di lavoro, si sentono dire, pazienza se respirate un po' di idrogeno solforato. L'oro nero fa girare l'economia, non importa se per ottenerne 1 kg si producono 37 kg di rifiuti solidi e liquidi da smaltire. Non è il caso di fare un dramma se le acque della regione sono a rischio inquinamento, vi porteremo quella di altre regioni.
Giulia ascolta, attenta. Stenta a riconoscere il ragazzo che ha conosciuto fino a quel momento, le sembra di avere di fianco un uomo. Antonio si scalda. Lottiamo per difendere la nostra terra e la nostra salute e ci accusano di essere contro il progresso. Ci hanno detto che vogliamo rimanere pecorai, come se fare il contadino o il pastore fosse un disonore. Ho sedici anni, una vita davanti. Voglio viverla tutta, fino in fondo, non voglio che qualcuno me la porti via.
Arriva l'ultima sera della vacanza. A mezzanotte si immergono nudi nell'acqua tiepida, poi si amano sotto le stelle, leccandosi il sale sulla pelle.
Il mattino dopo Giulia e Antonio si salutano, promettendosi di scriversi e telefonarsi, ma entrambi in fondo sanno che ognuno andrà per la sua strada, che la distanza che li separa farà diminuire poco a poco l'intensità di quell'amore estivo.
Il viaggio in macchina fino a Verona è lungo. Giulia guarda fuori dal finestrino. Non ha voglia di tornare a casa. La mente corre ad Antonio e alle loro passeggiate in riva al mare. Quando si fermano all'autogrill per fare benzina, fissa il cartello con il cane a sei zampe che sputa fuoco e ripensa alle trivelle. Meno male che in Veneto non c'è il petrolio, sussurra a se stessa, sarebbero capaci di bucare l'Arena. Poi chiude gli occhi e si addormenta, ripetendo a mente le province della Basilicata.

martedì 29 marzo 2016

Lejla e Hamid a Milano!

Lejla e Hamid vi aspettano a Milano sabato 9 aprile alle 18.00, presso lo Spazio Aperto Multietnico in via Lucca 52 (MM1 Bisceglie). Non mancate!

domenica 6 marzo 2016

Festa della donna 2016: Lejla e Hamid a Bargagli (GE)

In occasione della festa della donna 2016, Lejla e Hamid incontrano i lettori a Bargagli (GE). Domenica 13 marzo alle 17.00 da Rico Ristorante Rosabruna, piazza S.D'Acquisto 1, S.Alberto Bargagli (GE).
La presentazione del libro sarà anche occasione per parlare di violenza sulle donne. Perché il 90% delle violenze non viene denunciato? Perché le vittime, in un paradossale stravolgimento di ruoli, si sentono colpevoli?

giovedì 18 febbraio 2016

Lejla e Hamid a Recco!

Lejla e Hamid incontrano i lettori a Recco (GE), sabato 27 febbraio alle 17.00.
Non mancate!

mercoledì 3 febbraio 2016

Lejla e Hamid a Imperia

Lejla e Hamid incontrano gli amici di Imperia (Circolo ARCI, via Bastioni di Mezzo 6).
Per chi vuole ci si vede alle 20.00 per una cena in compagnia, altrimenti alle 21.00 per la presentazione.
Con sorprese musicali di Yuri Veloso!

mercoledì 27 gennaio 2016

La memoria selettiva

Primo Levi domandava a chi se ne stava comodamente seduto nella propria casa se poteva considerarsi uomo l'ebreo rinchiuso dai nazisti nei campi di concentramento. Io domando se può considerarsi uomo il palestinese ucciso dagli israeliani (oltre 50.000), l'armeno ucciso dai turchi (1.500.000), il tutsi ucciso dall'hutu (800.000), l'ucraino ucciso dal sovietico (7.000.000), il cambogiano ucciso dai Khmer Rossi (1.800.000), l'haitiano ucciso dal dominicano (20.000), il nativo americano ucciso dai coloni europei (4.000.000)... e l'elenco purtroppo potrebbe continuare a lungo. Domando, allora, perché non istituire una giornata della memoria in cui si ricordino, oltre all'olocausto, tutti i genocidi, i massacri, le pulizie etniche e religiose, tutti gli orrori che gli uomini hanno compiuto su altri uomini?

giovedì 14 gennaio 2016

Violenza e ipocrisia

Mi chiamo Sarah Collins e per il mio Paese, l'Irlanda, domani sarò un'assassina. Ma io domani non sarò più qui. Un ultimo sguardo alla banchina, al via vai di persone che affollano il porto di Cork, alla nebbia che onnivora sale dall'oceano e inghiottisce tutto ciò che incontra sul suo cammino. Mi tiro su la zip della felpa, fino al colletto, l'aria salmastra non fa sconti e punge irriverente la pelle del viso. Poi mi volto a osservare il blu intenso del mare aperto. Alle spalle la mia terra che tanto amo e tanto ho amato. La famiglia, gli amici, le serate al pub, i giri in bicicletta per la verde brughiera. Ma non vi preoccupate, non è un addio, ci rivedremo presto. Il tempo di sdraiarmi su un lettino di una sala operatoria e farmi restituire la vita. E i miei sogni. Quale diritto avete per decidere del mio futuro? Per impedirmi di laurearmi? Ho diciannove anni. Cazzo solo diciannove anni! Un fumo denso e nero sale dalla ciminiera, la nave si stacca lentamente dal molo. Per la prima volta negli ultimi due mesi mi sento leggera. Ho voglia di gridare, ho voglia di cantare, ho voglia di ridere. Rido. E piango. Di gioia, di rabbia. Penso a quello che ho ascoltato negli ultimi giorni sui fatti di Colonia. Tutti pronti a condannare le aggressioni, i tentativi di violenza sessuale. Tutti a scagliarsi contro quelle bestie ingrate. Noi li accogliamo nei nostri Paesi e loro ci violentano le nostre donne. Barbari! Musulmani, maschilisti, incivili. Che tristezza! Quanta ipocrisia! Dove eravate, voi "benpensanti", due mesi fa? Perché non siete accorsi quando mi ha sbattuto per terra, quando mi ha strappato la camicetta, quando mi ha colpito sul viso facendomi perdere i sensi? Ma soprattutto, perché non avete gridato allo scandalo, non avete messo nessun titolo in prima pagina sui giornali, non avete dato la notizia in apertura di telegiornale? Forse perché lui era cattolico? Perché aveva i capelli rossi? Perché la sua pelle era candida come il latte e ricoperta di lentiggini? Mi fate vomitare, tutti quanti. Mi fa schifo la vostra neonata sensibilità che usate per mascherare il vostro becero razzismo. La violenza sulle donne c'è da sempre, ma a voi non ve n'è mai importato nulla. Non usate il mio nome e il mio corpo per chiudere le frontiere, per respingere persone che non chiedono altro che diritti e dignità. Le stesse cose che chiedo io e che l'ottavo emendamento della nostra costituzione mi nega. La vita delle donne vale quanto quella dell'essere che sta nascendo dentro di loro. Anzi, meno. Non importa se il feto è malato e i rischi di morte alla nascita sono elevati. Non importa se sei stata violentata. Tu, donna, non vali niente. Non hai voce in capitolo. Non ci interessa quello che provi, ciò che desideri. Quattordici anni di prigione. È quanto rischierei se decidessi di abortire illegalmente in Irlanda. Più di quanti ne daranno al mio stupratore. Dov'è l'umanità che sgorga a fiotti dalle vostre bocche in questi giorni, così solerti nel giudicare e nel condannare le violenze di Colonia? Ve ne avanza un pochino anche per me? Non c'è bisogno che andiate così lontano, guardatevi intorno. Le strade di Dublino sono piene di violenza. Le case degli irlandesi anche. Non affannatevi per provare empatia per le donne tedesche. Le avete anche voi le vostre vittime da santificare, sempre che ne abbiate voglia. Si chiamano Katie, Liza, Sarah. Sono la maestra di vostro figlio, la verduraia all'angolo, l'impiegata all'ufficio anagrafe. E gli stupratori si chiamano Paul, John, Willy. Sono irish fino al midollo. Bevono Guiness e Murphy's. Ascoltano gli U2 e i Pogues. E in Spagna si chiamano Pedro, José, Miguel. In Italia, Pietro, Carlo, Salvatore. Non ve ne siete mai accorti perché avete sempre chiuso gli occhi, perché vi faceva comodo non accorgervene. Perché vi siete tappati le orecchie di fronte al nostro grido di aiuto. Ebbene, sappiate che eravate e siete tuttora complici. Ma sappiate anche che non è mai troppo tardi, che potete aprire gli occhi e accompagnarci in questa lotta. Se saremo in tanti non potranno ignorarci. Se marceremo uniti saranno costretti ad ascoltarci. Basta silenzio. Basta ipocrisia. Se non per noi e per voi, fatelo per i vostri figli, per farli crescere in un mondo migliore. Fatelo per mio figlio. Quello che avrò quando ne sentirò il desiderio, con un padre che sceglierò io, non uno sconosciuto imposto dalla legge.