"Tutto cambia al di là di queste mura.
Qui invece tutto resta uguale, cristallizzato. Siamo un baco che mai si trasformerà in farfalla"

venerdì 23 maggio 2014

Un libro contro la barbarie

L'attività di scrittore e la passione per la lettura mi portano spesso a visitare siti di case editrici, più o meno note. Alcuni giorni fa mi sono imbattuto nella seguente lettera scritta da un piccolo editore.

Gentile signora, gentile signore,

viste le gravi crisi in cui viviamo, crisi economica e cronica crisi della lettura, che in Italia dura da molti decenni, abbiamo deciso di prenderci un momento di pausa.

Una casa editrice come la nostra, che non fa pagare gli autori per pubblicare i loro lavori e riceve tante proposte di pubblicazione, ma pochissime richieste di libri da leggere, per quanto di qualità e interesse i titoli in catalogo, non può continuare ad esistere. Ecco perché ci prendiamo una pausa di riflessione.

Forse ci butteremo a capofitto nella vendita di tappeti, che possono andare molto meglio in una stagione di solitudine come questa.
O forse ci sposteremo verso altre lingue e paesi, dove non necessariamente tutti sono poeti.

Probabilmente sbaglio a scrivere in questo modo a qualcuno che solo chiede di pubblicare il suo libro... La mia disperazione non è certo per un mancato guadagno, ma per la totale mancanza d'interesse del pubblico italiano verso la cultura e la poesia in particolare.

Provate a guardare nelle librerie sugli scaffali riservati alla poesia: sicuramente avrete più libri di poesia voi in casa vostra … eppure in molti scrivono versi! Non saranno le librerie a essere poco interessate ai libri di poesia, di sicuro mancano i lettori!

Allora darei un consiglio: stampate da voi i vostri libri dal primo stampatore che trovate, non vi affidate a piccoli editori disonesti che vi chiedono soldi per pubblicare, andate in giro voi stessi a divulgare il vostro libro, con presentazioni e letture, per strada se necessario…
Diffidate dei premi a pagamento. E soprattutto leggete, leggete, leggete poesia, sempre, comunque. Giudicate della qualità di un'opera affidandovi ai vostri criteri di valutazione, diffidando della critica ufficiale e anche della pubblicità in tv e sui giornali.
Scusate se ho deluso le vostre attese.

Cordiali saluti

l'Editore Albalibri
ÇlirimMuça


Non so cosa avete provato voi nel leggerla, a me ha trasmesso amarezza e sconforto. In una società disinteressata alla lettura si ha un livellamento culturale verso il basso, anticamera della barbarie. Il rischio ultimo è rappresentato da società orwelliane o bradburyane alle quali mai vorremmo arrivare (a parte forse coloro che pensano di poterne trarre vantaggio politico ed economico).
Chi cerca in modo indipendente di opporsi con passione a certi scenari, adottando linee editoriali fuori moda, pubblicando e vendendo libri di nuovi autori, si trova a lottare contro giganti che pagano fior di quattrini per avere i propri libri all'ingresso delle grandi librerie impilati l'uno sull'altro a formare tante Manhattan in miniatura. Il mondo dell'editoria è pieno di piccoli editori che pubblicano ottimi libri, ma che sono costretti a chiudere per l'insostenibilità economica del loro progetto. Un progetto magari di qualità, ma che non trova il consenso di un pubblico già di per sé scarso. Un pubblico attratto da pochi best sellers, i quali raramente sono garanzia di qualità, anzi, spesso è vero il contrario. Non vedrete mai un libro di un premio Nobel al primo posto delle classifiche dei libri più venduti. Per il semplice motivo che i libri, nonostante veicolino cultura, non sfuggono alle più elementari leggi di mercato. Se sei famoso e si prevede che il tuo libro venderà molte copie, allora non avrai difficoltà a farti pubblicare da Mondadori ed Einaudi, anche se hai scritto l'apologia in versi della pasta e fagioli. Se invece sei uno dei tanti, con una vita normale, un lavoro normale, una famiglia normale, riuscire a pubblicare un tuo libro potrebbe risultare tanto difficile quanto scalare l'Everest. Vero è che molti si improvvisano "alpinisti" senza essere tali, si considerano dei nuovi Saramago e non si capacitano del perché il proprio manoscritto, che reputano un capolavoro della letteratura moderna, non trovi qualcuno disposto a pubblicarlo (nella migliore delle ipotesi si rassegnano, nella peggiore sono disposti a pagare migliaia di euro al primo editore a pagamento che offre loro un contratto). Tra tanti velleitari aspiranti scrittori, però, ve ne sono alcuni le cui opere meriterebbero senza dubbio di essere lette. Molte di queste opere restano sconosciute ai più, molte altre non riescono nemmeno a trovare un editore che abbia voglia di rischiare. In fondo, come dargli torto? L'Italia è un paese dove molti scrivono ma pochi leggono. Più di un italiano su due (54%) non legge nemmeno un libro all'anno (in Germania chi non legge è appena il 18%, in Francia il 30%) e solo il 6% legge in media un libro al mese. Ciononostante, la produzione editoriale resta enorme. Una volta, entrando in una libreria, affascinato e allo stesso tempo intimorito dalla sconfinata offerta, ho calcolato quanti libri avrei potuto ancora leggere prima di morire. Considerando una media di 15 libri all'anno e ipotizzando ottimisticamente di vivere altri 45 anni, il risultato è stato 675. Mi sono sembrati pochi, soprattutto se confrontati con le novità che ogni anno riempono gli scaffali delle librerie (molte più di 675!). La speranza, per gli aspiranti scrittori, per i piccoli editori e per la società in generale, è che il numero di lettori, ormai stabile da  molti anni, possa tornare ad aumentare. Forse saremo costretti ad aspettare che i social networks, che tanto tempo assorbono a chi ne fa uso, passino di moda. Solo allora le persone ritroveranno il tempo di sfogliare le pagine di un libro invece di cinguettare e messaggiare in modo frenetico e compulsivo.
Quando volete fare un regalo a qualcuno, entrate in una libreria, meglio se piccola, e comprate un libro! Sarà il vostro piccolo mattoncino contro la barbarie collettiva.

venerdì 16 maggio 2014

Rieducazione o punizione?


Genova, carcere di Marassi

Aria stantia, il neon difettoso che sfrigola, arredamento minimalista. Sono in quattro, seduti sulle brande. Li osservo. Uno, quello sulla destra, ha l'aria più assente degli altri. "Raccogliete le vostre cose, uscite oggi pomeriggio". Sguardi stupiti. "Non ve l'hanno detto? A febbraio la legge per cui siete in prigione è stata giudicata incostituzionale". Sguardi speranzosi. "Siamo liberi?". Annuisco. "Siete liberi". Sguardi felici. "Certo che ce n'hanno messo di tempo per rendersi conto che c'è una bella differenza tra farsi una canna e farsi di eroina, eh?". "Otto anni". Sguardi arrabbiati. "E noi nel frattempo a marcire qui dentro. In quattro, in nemmeno dieci metri quadrati. Da uscirci di testa". Allargo le braccia. "Meglio tardi che mai". Sguardi tristi. "Mi hanno sbattuto dentro che mio figlio non camminava ancora, ora parla. Chi me li restituisce i giorni che non ho potuto trascorrere insieme a lui?". Si alzano in tre, quello sulla destra resta immobile al suo posto. "Ehi, tu non vieni?". Silenzio. "Beh?". Silenzio. "No, lui non viene". Li squadro interrogativo. "Siete arrivati tardi. Si è suicidato ieri".

***

A febbraio la legge Giovanardi-Fini è stata giudicata incostituzionale. Si è calcolato che potrebbero uscire dal carcere quasi diecimila persone, anche se a distanza di tre mesi ne sono state scarcerate molte meno. Se dovessero uscire tutti quelli che ne hanno diritto, si alleggerirebbe un poco la pressione su un sistema carcerario ridotto al collasso.
Nelle carceri italiane si trovano attualmente circa 67.000 detenuti per una capienza massima di 44.000. Dopo Serbia e Grecia, l'Italia è il paese del Consiglio d'Europa con il maggior sovraffollamento nelle carceri.
L'Italia è il Paese dell'area Ocse con i tempi della giustizia più lunghi, con una media di quasi 600 giorni di durata per un processo.
Il 21% delle persone in carcere è in attesa di primo giudizio. Il 40% è invece in attesa di giudizio definitivo. Statisticamente, quasi la metà sarà riconosciuta innocente (significa che attualmente 13.000 persone sono detenute ingiustamente).
Se la pena detentiva venisse sostituita, quando possibile, dai servizi sociali e dai lavori socialmente utili (privilegio che in Italia spetta a pochi), il livello di recidiva si abbasserebbe dal 70 al 25%.
Secondo le direttive europee, in Italia tre carceri su quattro sono illegali per quanto riguarda lo spazio nelle celle a disposizione di ogni detenuto. In alcune carceri ci sono celle con quattro persone sistemate su due letti a castello costrette a vivere in 7,6 metri quadrati. Meno di 2 metri quadrati a testa. In altre celle di uguali dimensioni ci stanno addirittura in 6.
A gennaio del 2013 la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l'Italia a pagare 100.000 euro per danni morali a sette detenuti nelle prigioni di Busto Arsizio e di Piacenza.
I detenuti sono spesso rinchiusi in una cella per 20 ore senza poter svolgere nessuna attività. Poco più del 10% svolge lavoro saltuario, pochissimi hanno la possibilità di frequentare le scuole. L’ozio forzato è la regola.
Le condizioni igienico-sanitarie sono pessime. Le celle sono luoghi immondi dove circolano scarafaggi, le finestre spesso non si possono aprire perché ostruite dai letti a castello. Mancano aria e luce, tanto che i detenuti devono tenere la lampadina accesa tutto il giorno.
Molti non possono vedere mogli e figli. L’avvocato, quasi sempre d’ufficio, l’hanno visto una sola volta e nulla conoscono del processo che li riguarda. Il 25% è tossicodipendente, il 36% è straniero senza appoggi in Italia, i casi psichiatrici sono tantissimi, l’assistenza sanitaria è quasi impossibile.
Condizioni inumane che tra il 2000 e il 2012 hanno spinto 752 detenuti a togliersi la vita. Nel solo 2010 sono stati segnalati 66 suicidi tra i detenuti e 7 tra gli agenti di polizia penitenziaria. Il suicidio è la prima causa di morte in carcere (56%, per malattia muore il 20%).
In carcere si ha un tasso di suicidi 20 volte più alto che nella società, 1 suicidio ogni 1.000 detenuti contro 1 ogni 20.000 cittadini. In Francia si ha un rapporto pari a 3, in Germania scende a 2, in Finlandia il tasso di suicidi dentro e fuori dal carcere è lo stesso.
Il 40% dei condannati in via definitiva si trova in carcere per reati connessi alla droga (grazie anche a una legge incostituzionale). Allo stesso tempo, l'Italia detiene in Europa il minor numero assoluto (156) di detenuti condannati in via definitiva per reati fiscali e/o finanziari: un insignificante 0,4% del totale nazionale, mentre in Germania ce ne sono 55 volte di più (14% del totale) e nel Liechtenstein addirittura il 38%.


L'articolo 27 della Costituzione è palesemente violato nella maggiornaza delle carceri italiane. È assurdo pensare a una "class action" dei detenuti nei confronti dello Stato?

Articolo 27 della Costituzione della Repubblica Italiana

La responsabilità penale è personale.

L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Non è ammessa la pena di morte.

venerdì 9 maggio 2014

Las venas

Era da tempo che volevo leggerlo, ma ogni volta che finivo un libro gli lanciavo un'occhiata fugace e poi le mie mani, senza motivo apparente, ne afferravano un altro. E lui restava lì, in paziente attesa, su uno scaffale della libreria. Come se sapesse che, prima o poi, sarebbe giunto il suo turno, cosa che effettivamente è accaduta, un paio di mesi fa.
Las venas abiertas de America Latina, di Eduardo Galeano.
Un saggio che riporta fatti che la storia ufficiale, quella raccontata dai vincitori, nasconde o, peggio ancora, falsifica. Un racconto meticoloso e rigoroso del saccheggio umano, culturale, economico e ambientale perpetrato negli ultimi cinque secoli ai danni dei paesi del Centro e Sud America. Una descrizione documentata dei crimini commessi ai danni del popolo latinoamericano, dai tempi di Cristoforo Colombo fino alle dittature militari degli anni '60 e '70 appoggiate e finanziate dagli Stati Uniti. Dal genocidio degli indios al potere illimitato e senza regole delle multinazionali nel '900. Il profitto che calpesta i diritti. L'uomo che sfrutta l'uomo, spreme la terra, devasta la natura. Il tutto nel nome dell'unico dio venerato in tutto il mondo. Un'analisi lucida che evidenzia in maniera inequivocabile come il capitalismo sia un modello economico che prevede "più naufraghi che naviganti".
Una lettura consigliata. Un libro che andrebbe letto e studiato nelle scuole. Per una corretta visione della storia. Per vedere sotto un'altra ottica coloro che giungono da noi alla ricerca di una vita più dignitosa. Per non dimenticare che i loro paesi di origine oggi sono poveri perché altri si sono impossessati della loro ricchezza. Per comprendere il debito umano, economico ed ecologico che Europa e Stati Uniti hanno nei confronti dell'America Latina. Per cogliere la valenza rivoluzionaria del processo integrazionista latinoamericano avviato alla soglia del nuovo millennio.

"Nella storia degli uomini ogni atto di distruzione trova risposta, prima o poi, in un atto di creazione"
Eduardo Galeano

domenica 4 maggio 2014

L'applauso

La sala era gremita. Ogni posto occupato. E a un certo punto sono arrivati? Non sono arrivati, erano già in sala. Tutti e quattro? No, erano in tre, la donna non c'era. E cosa è successo? Dal palco qualcuno ha preso il microfono e ha annunciato agli altri la loro presenza. E poi? È scattato l'applauso. I giornali hanno scritto cinque minuti. Cinque no, ma tre di sicuro. Non sono pochi. Inizia ad applaudire. Cosa? Tu applaudi, io conto. Uno, due, tre, quattro...sessantasette... Ancora? Continua. Sessantotto, sessantanove, settanta... centosettantanove e centottanta. Non ce la facevo più. A volte nemmeno a teatro si applaude tanto. Se per questo nemmeno alla premiazione dei Nobel. E applaudivano tutti? Sì. Si sono alzati in piedi, si è udito qualche grido e l'applauso si è trasformato in un'ovazione. Poveretti. Chi? I genitori. Quante volte gliel'hanno già ucciso quel povero ragazzo? Il capo della polizia però stavolta li ha chiamati, si è scusato. Parole. Parole? Le parole perdono di credibilità se vengono smentite dai fatti. Ti riferisci al reintegro una volta scontata la pena? Più che reintegro una promozione. Dalla strada a un ufficio. Avranno suscitato l'invidia di più di un collega. In fondo una storia che si ripete, anche dopo Genova 2001 le cose erano più o meno andate così. Mi piacerebbe prenderli uno a uno. Chi? Quelli che hanno applaudito e chiedergli se davvero credevano in quell'applauso. Perché? Per poter nutrire una speranza. Non voglio rassegnarmi alla sensazione di insicurezza che provo di fronte a una divisa. Sogni ancora di essere inseguito? Ormai raramente. In fondo sono passati quasi tredici anni. Già, eppure a volte sembra ieri. Comunque te lo ripeto, erano tutti in piedi. Ma forse alcuni si sono alzati per senso di appartenenza. Non c'è nulla di più deleterio per la mente di un essere umano che il senso di appartenenza. Non esiste solo nella polizia. No, non solo. L'assenza di obiezioni, l'impossibilità di essere in disaccordo. Mi disturbano, in generale. Dev'essere per questo che da sempre evito con cura gli ambienti dove regna l'unanimità. Si dice che l'unione faccia la forza. Purché non si tratti di un'unione forzata. La tendenza è quella di marginalizzare le voci fuori dal coro. È miope colui che vive il dissenso come una debolezza, invece che come un'opportunità. Divergere per poi convergere. E per cambiare, in meglio. Sai che non ho ancora visto il film? Quello su Federico? Sì. Dovresti vederlo, ti piacerà... cioè, no. No cosa? Per alcuni film sarebbe più corretto dire “non ti piacerà”. In che senso? Che non ti farà piacere quello che viene raccontato. Non sono sicuro di seguirti. Prendi “Sweet sixteen”, di Ken Loach. Il film è bello, ma quando iniziano i titoli di coda resti al buio con gli occhi lucidi, immobile, e non perché speri che se ne siano andati tutti quando si riaccenderanno le luci, bensì per quel macigno enorme tra gola e stomaco che ti impedisce di alzarti, che ti tiene inchiodato alla poltrona. Ero convinto che odiassi i lieto fine. Vero. Non sopporto chi fa di tutto per edulcorare la realtà. Un po' di ottimismo ogni tanto non guasta. Il bicchiere mezzo pieno può agire da freno. Da freno? Ti isoli nel tuo fragile benessere e non ti rendi conto che il mondo intorno a te sta crollando, non ti accorgi che quando piove a te basta un ombrello, ma sui poveri piovono pietre.

L'eco stonato dell'applauso rimbombava ancora tutt'attorno.