"Tutto cambia al di là di queste mura.
Qui invece tutto resta uguale, cristallizzato. Siamo un baco che mai si trasformerà in farfalla"

martedì 20 dicembre 2016

Istruire al precariato

In Svizzera il futuro lavorativo delle persone viene deciso a 11 anni. A un'età in cui si è ancora bambini, infatti, occorre superare un test per poter fare in seguito il liceo, unica scuola che dà l'accesso all'università. Il test, per la cronaca, è molto più difficile rispetto alle competenze acquisite fino a quel momento (piuttosto scarse, se confrontate per esempio con quelle fornite dalla scuola elementare e dalla prima media italiane). Ma non è finita qui. I posti disponibili sono limitati e anche se fai il test molto bene, se c'è un numero sufficiente di bambini che l'hanno fatto meglio di te, puoi scordarti l'università (ogni anno a Zurigo mediamente solo il 20% degli studenti che vorrebbe fare il liceo riesce poi a farlo). E andrai a fare un lavoro meno qualificato, ma comunque utile alla società.
Ingenuamente si potrebbe pensare che il folle sistema svizzero abbia almeno come scopo quello di limitare il numero dei laureati, perché i posti di lavoro qualificati non sono molti. Niente di più sbagliato. In Svizzera ci sono un sacco di medici, ingegneri, architetti e ricercatori stranieri, molti dei quali italiani. In pratica, nel piccolo e ricco paese alpino risparmiano sulla formazione e accolgono a braccia aperte chi è stato formato altrove, con un ragionamento che da un punto di vista economico non fa una grinza: formare un medico costa un sacco di soldi, meglio se formiamo operai, impiegati e cassieri del supermercato, il medico invece lo importiamo dall'estero. Più o meno il contrario di ciò che accade in Italia, dove abbondano i laureati disoccupati e dove la precarietà non è più un periodo transitorio in attesa di un inserimento stabile nel mercato del lavoro, bensì una condizione strutturale. E dove i diritti, ormai mantenuti da pochi, vengono considerati privilegi. Forse questo problemino elementare di costi e benefici bisognerebbe farlo notare al ministro del lavoro, che questo sistema indegno ha contribuito a creare, e che nei giorni scorsi ha candidamente affermato che l'emigrazione dell'esercito dei precari è un bene per il paese, così "non li abbiamo più tra i piedi".