"Tutto cambia al di là di queste mura.
Qui invece tutto resta uguale, cristallizzato. Siamo un baco che mai si trasformerà in farfalla"

Intervista Milano - aprile 2011

Ho l’occasione di fare quattro chiacchiere con Diego Repetto, jeans e camicia, un viso simpatico che lo fa apparire ancora più giovane dei suoi trentacinque anni. Ricercatore in ambito scientifico e scrittore, presenta oggi alla Casa Armena di Milano il suo romanzo d’esordio, Il baco e la farfalla. L’atmosfera è intima e tranquilla: in sala ci sono già i suoi parenti ansiosi di ascoltarlo e il suo piccolo Nicolò che corre ovunque ridendo. Diego è emozionato; sembra felice.

Sei nato in Liguria, ma i tuoi studi e il tuo lavoro ti hanno portato lontano da casa.
Vivo a Valencia da cinque anni; prima di arrivare in Spagna ho studiato e fatto il ricercatore in Svizzera e in Germania, a Stoccarda.

Per i giovani d’oggi andare via dall’Italia sembra essere l’unica speranza per trovare un lavoro. C’era lo stesso imperativo quando tu hai deciso di partire? Cosa è significato per te lasciare tutto?
Premetto che a portarmi in Spagna è stato il lavoro. Sono andato via sapendo dove andavo e cosa andavo a fare; godevo in qualche modo del privilegio di avere una certezza. In Italia c’erano - come d’altronde tuttora - scarse opportunità per i ricercatori. La Spagna invece investiva molto, erano sorti svariati centri prestigiosi. All’inizio vivere in una società diversa non è stato facile, ma l’esperienza si è rivelata presto stimolante e davvero entusiasmante. In più ho avuto la fortuna di non essere mai stato solo: ho conosciuto mia moglie a Stoccarda, poi abbiamo viaggiato insieme ed infine lei ha deciso di seguirmi a Valencia. Per rispondere alla domanda circa l’andare via oggi, dico che, per quanto la crisi dilaghi un po’ ovunque (la Spagna, in particolare, ne è stata duramente colpita), guardarsi intorno è necessario. La situazione italiana è tragica; certe condizioni sono inaccettabili.

Pensi mai al ritorno?
Sono molto legato all’Italia. Sono contento ogni volta che ci torno; ho ancora molti amici qui, le mie radici. Comunque in Spagna sto bene. Non escludo di tornare, ma non ho fretta.

Sei un uomo di scienza, ma anche un romanziere. Che rapporto hai con la scrittura?
Scrivere mi piace molto, da quando ero piccolo. Ho sempre cercato di coltivare questa passione, di tenerla viva: quando ero a Stoccarda, per esempio, scrivevo molte lettere agli amici lontani.

Com’è nata l’idea di questo tuo primo libro?
L’idea è nata un po’ come un gioco e in un giorno preciso: la vigilia di Natale del 2006. Chiacchieravo con mia madre che mi raccontava delle storie della sua famiglia. In queste vicende di vita un personaggio in particolare aveva un ruolo di rilievo: un suo fratellastro, a me fino ad allora sconosciuto. La sua era una vita incredibile. Mi è venuta voglia di conoscerla tutta, e raccontarla. Mi affascinava.

Come ti è stata raccontata questa “vita incredibile”?
Ho incontrato mio zio  che, in un pomeriggio, mi ha raccontato la storia della sua vita dal ’43 ad oggi, con una memoria incredibilmente precisa. L’ho registrata e poi sbobinata. Per la stesura del testo - in cui gli eventi sono tutti veri, seppur romanzati - ho impiegato tre anni.

Cosa ti ha colpito maggiormente di questi racconti?
Scoprire un lato sconosciuto della mia famiglia è già stato di per sé molto interessante. La mia vita e quella di mio zio non si sono intrecciate; in questi racconti nulla mi ha toccato come qualcosa di comune a noi due; tuttavia la condivisione di questa storia è stata emozionante e piacevole per entrambi. Ciò che mi ha colpito forse maggiormente sono stati i ricordi dell’esperienza del carcere (parliamo degli anni ’60). Le condizioni nelle prigioni oggi, purtroppo, non sono migliorate; la situazione pare anzi drammatica: dal 2000 ben seicento detenuti si sono tolti la vita.

Quando gli hai detto che sarebbe diventato il protagonista del tuo romanzo? Cosa ne pensa del lavoro finito?
Ho comunicato a mio zio l’idea di scrivere la sua storia il giorno stesso in cui l’ho incontrato. Cosa pensi del libro ancora non lo so, gliene ho donata una copia poco fa. Sono molto contento che oggi sia qui.

Il titolo incuriosisce. Chi sono o cosa rappresentano per te il baco e la farfalla?
La farfalla e il baco sono, estremizzando, le due condizioni opposte degli individui nella nostra società: gli uni, quelli che si sono realizzati, hanno “spiccato il volo”; gli altri, quelli che hanno incontrato maggiori difficoltà per via di circostanze avverse della vita e del loro destino, non possono “volare”. Il protagonista del romanzo per gran parte della sua vita è stato un uomo perseguitato dalla sfortuna. Solo negli ultimi anni ha trovato un certo equilibrio.

Sei giovane, stai per diventare padre la seconda volta, fai il lavoro che ami e hai anche realizzato il tuo sogno di scrivere un libro. Ti senti un po’ una farfalla?
[Sorride]. Sto vivendo un momento particolarmente sereno. Sono soddisfatto e, se dovessi tornare indietro, rifarei tutte le scelte che ho fatto. Mi sto godendo la mia famiglia; sto anche iniziando a scrivere un altro libro. Sono felice, sì.

By Flaminia Bonelli

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