"Tutto cambia al di là di queste mura.
Qui invece tutto resta uguale, cristallizzato. Siamo un baco che mai si trasformerà in farfalla"

mercoledì 24 agosto 2016

Intervista per "Gli scrittori della porta accanto", di Elena Genero Santoro

Raccontaci qualcosa di te: chi è Diego Repetto nella vita di tutti i giorni?
Sono ricercatore (fisico), scrittore, marito e padre felice (ho due splendidi bimbi di 5 e 6 anni). Nel 2002, dopo la laurea, sono emigrato all’estero spinto dal desiderio di conoscere nuovi luoghi e confrontarmi con persone di diversa cultura. Ho lavorato come ricercatore in Svizzera, Germania e Spagna. Nell’aprile del 2012 ho fatto ritorno in Italia e attualmente vivo a Genova con la mia famiglia.
Mi piace leggere e andare al cinema. Non possiedo un'automobile e nemmeno una televisione. Ho una bicicletta e due grandi passioni: la pallacanestro e il mare, quello blu e profondo.
In passato ho collaborato con Fairwatch, blog sulle altre economie. Collaboro con Comune-info, blog di informazione indipendente su beni comuni, decrescita, altra economia. Scrivo di attualità su un blog personale.

Questo è il primo romanzo che pubblichi?
No. Nel 2011 è stato pubblicato il mio primo romanzo, “Il baco e la farfalla”, ispirato a fatti realmente accaduti.

Veniamo al libro, “Lejla e Hamid”, Valletta Edizioni. Com’è nata l’idea?
L'idea è nata a Valencia, in Spagna, nel Novembre del 2010. Alla radio diedero una notizia che mi colpì in modo particolare. Una ragazza era stata violentata sette anni prima da un uomo che, dopo essere stato condannato, aveva scontato la sua pena in carcere. L’uomo era fuori da qualche settimana e si trovava al bar con alcuni amici. Gli si era avvicinata una donna, gli aveva rovesciato addosso una tanica di benzina e gli aveva dato fuoco. Quella donna era la madre della ragazza. Il tempo non era riuscito a liberare l’animo di quella donna da un odio così profondo da portarla a compiere un gesto folle e tragico. Si dice che il tempo curi tutte le ferite, evidentemente non era stato quello il caso. Da lì, da quella notizia ascoltata alla radio, nacque l’idea di scrivere un libro sulla violenza sessuale e sulle drammatiche conseguenze fisiche e psicologiche di chi la subisce.

È un libro di narrativa non di genere. Ci racconti di che cosa parla?
Il libro narra la storia di un incontro tra Lejla, una ragazza bosniaca adottata da una famiglia della “Genova bene”, e Hamid, un ragazzo eritreo che fa il venditore ambulante. Due giovani accomunati da un passato di guerra, ma che vivono un presente completamente diverso. Ciononostante, ne nasce una storia d'amore carica di passione che viene messa in crisi da una notte di follia, in cui Lejla viene violentata da un “amico”.

Qual è il target a cui ti rivolgi? Che tipo di lettori ambisci a conquistare?
È un libro per adulti, lettori interessati a storie intense riguardanti le attuali problematiche sociali. Ma è anche un libro che mi farebbe piacere che fosse letto da ragazzi coetanei dei due protagonisti (19 e 23 anni). Penso che potrebbero per certi versi identificarsi in Lejla e Hamid e imparare qualcosa dei loro pregi e dai loro difetti. E, pur non augurando a nessuno di vivere una simile esperienza, comportarsi in modo diverso da come si comporta Lejla (dopo lo stupro si chiude in se stessa e non denuncia l'aggressore).

Quanto ti ha coinvolto intimamente la stesura di questo romanzo? C’è qualcosa di autobiografico?
Mi ha coinvolto parecchio, tanto da cambiare in corso d'opera il destino della protagonista, alla quale nel frattempo mi ero affezionato. Di autobiografico non c'è molto, se si esclude la passione di Lejla per la pallacanestro e la sua predilezione per il gelato alla nocciola.

Racconti di una fuga dall’Eritrea e anche gli orrori a Sarajevo fanno da sfondo. Per scrivere questo libro hai dovuto svolgere delle ricerche?
C'è stato un lungo e interessante lavoro di approfondimento e ricerca: sulla situazione in Eritrea (da oltre 20 anni c'è una dittatura di cui nessuno parla), sull'assedio di Sarajevo e gli orrori della guerra nella ex-Jugoslavia, sui viaggi dei migranti dall'Africa all'Italia, sullo sfruttamento dei migranti nei campi del Sud Italia, sui centri di permanenza temporanea, sul mondo degli ambulanti e, infine, sulle conseguenze psicologiche e fisiche sulle vittime di violenza sessuale (immedesimarsi in una donna che ha subito uno stupro è stata forse la parte più difficile da scrivere, e i tanti complimenti ricevuti a proposito da chi ha letto il libro mi hanno gratificato e fatto capire di essere riuscito a fare un buon lavoro. Qualcuno addirittura mi ha detto che non pensava che un uomo potesse descrivere così bene le sensazioni di una donna).

Parli della paura del diverso e dell’ipocrisia della società. C’è qualche messaggio particolare che speri di comunicare attraverso questo romanzo?
Il problema della società italiana (e in parte europea) non è l'immigrazione, come i media vorrebbero farci credere. Lo stato sociale è a forte rischio e senza gli stranieri il crollo avverrebbe con certezza e in tempi rapidi. Il problema è l'integrazione. Andrebbero investiti soldi non per impedire l'arrivo dei migranti, bensì per combattere lo sfruttamento, per fomentare l'accoglienza e il vivere insieme nel rispetto della propria diversità, garantendo a tutti uguali diritti e doveri. L'amore può aiutare a superare le barriere e il timore nei confronti del diverso. Ovviamente l'amore da solo non basta. Per quanto riguarda invece la violenza sulle donne, occorrerebbe investire risorse per far emergere il sommerso. Il 90% delle violenze non viene denunciato. Nelle vittime nasce spesso un senso di colpa, in uno stravolgimento di ruoli che appare dal di fuori incomprensibile e paradossale. Il tutto però è causato da un'impostazione della società tutt'oggi con forti connotati maschilisti. Il senso di impunità di cui gode chi commette una violenza andrebbe cancellato, sia con un impegno istituzionale, sia con un profondo cambio culturale. In quest'ottica appaiono fondamentali un aumento di fiducia nella giustizia e nelle istituzioni, e un profondo cambiamento culturale, possibile solamente se si inizia a lavorare in questo senso già dai primissimi anni del percorso educativo delle nuove generazioni.

Il finale chi l’ha deciso? Tu o i tuoi personaggi?
L'ho deciso io, con l'idea di trasmettere un pensiero in cui credo molto. A qualcuno è parso che il libro finisca male. Per me invece contiene un forte messaggio di speranza.

Grazie per essere stato con noi, Diego. In bocca al lupo per i tuoi progetti futuri.

http://www.gliscrittoridellaportaaccanto.com/2016/08/anteprima-diego-repetto-racconta-leijla.html 

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